Sintesi relazione in Aula
‘Francamente non comprendo fino in fondo la questione dello spodestamento del Parlamento, che avverrebbe qualora questa legge costituzionale venisse approvata definitivamente e fosse definitivamente approvato questo percorso in riforma parziale, puntuale, circoscritta, occasionale, dell’articolo 138. Questa è francamente un’obiezione alla quale non ritengo di dover dedicare molto tempo. A me pare al contrario che, anche rispetto all’idea iniziale annunciata dal Presidente Letta in questa sede durante le dichiarazioni programmatiche in fase di primo voto di fiducia, noi ci troviamo oggi di fronte a un organo squisitamente parlamentare, il Comitato parlamentare, costituito da 42 parlamentari (deputati e senatori), che celebra la potestà del Parlamento nell’affrontare le riforme. Come ricorderete, l’ipotesi iniziale era quella di una Convenzione, ossia di un organo costituito da laici e parlamentari. Quella opzione, pure così autorevolmente rappresentata dal Presidente Letta, qui è stata abbandonata, e oggi il Comitato – anche questa è una profonda differenza rispetto alla prima prospettazione che pensava che quella Convenzione dovesse agire con i poteri redigenti – in sede referente compie l’attività istruttoria. Le Camere, le Assemblee restano sovrane nell’esame del testo. E vorrei dire di più: la scelta del Regolamento della Camera come ordinatore dei nostri lavori mi pare essere addirittura più garantista della possibile adozione del Regolamento del Senato, e consentirà un esame dei testi in Aula nella quale la sovranità dell’Assemblea avrà ogni modo per espandersi. Non voglio rifarmi a precedenti troppo autorevoli, ma vorrei ricordare che sostanzialmente questo Comitato parlamentare ha gli stessi poteri che ebbe la Commissione dei Settantacinque al tempo della Costituente. Così come vorrei dire che è improprio dire che facciamo per la prima volta uno strappo all’articolo 138: normalmente, ogni qual volta ci si è accinti ad una riforma costituzionale (Bicamerale, Commissione Iotti-De Mita) si è dato luogo ad un organo istruttorio che fosse altro che le Commissioni di Camera e Senato. C’è un altro punto che occorre dipanare, perché sento ancora ed ho sentito echi nella discussione di qualche equivoco e fraintendimento: la scelta operata è stata quella di dare luogo all’approvazione di singoli testi disciplinanti materie omogenee, e dunque un testo che riguardi probabilmente la riduzione del numero dei parlamentari e il bicameralismo, uno che riguardi la forma di Governo ed uno che riguardi la forma di Stato. Perché? Perché introduciamo, rafforzando l’articolo 138, non depauperandolo, la possibilità di un referendum alla fine del percorso delle riforme anche nel caso in cui l’Aula approvi il testo con la maggioranza dei due terzi. Lo dico a tutti i colleghi che hanno ricordato il referendum del 2006: se la riforma del 2005 fosse stata approvata con la maggioranza dei due terzi non avrebbe potuto essere sottoposta a referendum e la celebrazione della potestà del cittadino di abrogare una norma costituzionale approvata dal Parlamento non avrebbe potuto aver luogo. Oggi abbiamo singoli testi che vanno sottoposti e possono essere sottoposti a referendum anche nel caso in cui il Parlamento li abbia approvati con la maggioranza del 75 per cento. Perché singoli testi? Per due ragioni essenziali: la prima è che per garantire la piena e compiuta espressione della volontà popolare devono essere testi singoli. Ciascuno di noi ricorda che nel referendum del 2006 venne bocciata una riforma che aveva in sé anche parti condivise, per esempio la riduzione del numero dei parlamentari, proprio perché si trattava di un testo unico e, dunque, il dissenso su una parte di quel testo travolse anche le riforme costituzionali che venivano considerate positivamente da una larghissima maggioranza parlamentare e dei cittadini. Quindi, ripeto, singoli testi per assicurare al cittadino la possibilità di esprimere genuinamente la propria opinione su quel testo. Ma anche per un’altra ragione: veniamo da 30 anni di fallimenti e quindi suddividere in singoli testi le riforme ci dà la garanzia ulteriore, rispetto alla nostra volontà riformatrice, che se una questione tra le tre che verranno esaminate diventerà questione conflittuale, questa non arresterà il percorso delle altre riforme. C’è un altro punto che viene ritenuto di rilievo. Si tratta del fatto che l’intervallo tra le deliberazioni, tra la prima e la seconda deliberazione, non sia di tre mesi come previsto dall’articolo 138, ma sia di 45 giorni. Francamente, colleghi, di fronte a questo argomento non so che cosa dire. Credo sia assolutamente opportuno, dopo trent’anni di fallimenti e di riforme mancate, dare un certo ritmo – perdonatemi il termine forse non adeguato – ai nostri lavori. D’altronde, non vorrei commettere un errore, ma la Commissione dei 45 ha lavorato in dieci mesi. In merito al referendum, non voglio insistere avendone già parlato. A rafforzamento della previsione odierna dell’articolo 138, sarà possibile proporre referendum anche nel caso in cui il testo venga approvato con la maggioranza del 75 % del Parlamento. Rilevo in questo una così esplicita celebrazione della potestà del cittadino di chiedere il referendum e di proporre l’abrogazione delle singole parte delle riforme, sulla quale francamente credo non debba essere proferita più alcuna parola. Un’ulteriore questione è stata sollevata dai colleghi ed è l’ultima sulla quale mi soffermo. Non stiamo riformando l’articolo 138 da qui all’eternità. La modifica serve a questa riforma. Mi permetto di dire che serve a questo Parlamento. Se non servisse a questo Parlamento, probabilmente non ci sarebbe stata alcuna ragione di deviare dall’articolo 138. Avremmo potuto soltanto incidere sulla norma che riguarda il referendum, ma non avremmo costituito il Comitato parlamentare paritario Camera e Senato. Spero di aver risolto i dubbi o le perplessità che i colleghi hanno manifestato.

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