– Quale significato ricopre il festival del peperoncino all’interno del settore agroalimentare italiano fatto di specificità e prodotti di qualità? È l’ennesima dimostrazione che saper coniugare cibo e turismo può essere una dei motori dell’economia italiana?
“Il festival del peperoncino, nel giro di alcuni anni è divenuto uno degli appuntamenti strategici nell’economia turistica della Calabria e del Mezzogiorno. Ed ha raggiunto una notorietà a livello nazionale di internazionale, tale da renderlo un vero attrattore e un elemento identitario. Noi dobbiamo rafforzare ed elevare sempre di più la qualità delle nostre proposte legate al peperoncino, delle nostre offerte culturali, delle nostre qualità enogastronomiche. Quest’anno, poi, l’appuntamento con la 26° edizione, in programma dal 5 al 9 settembre, del festival sarà lanciato a Roma, con una conferenza stampa che si terrà il prossimo 11 luglio, alle ore 15:00, nella sala Caduti di Nassirya del Senato.
Il peperoncino è il simbolo di un’Italia che non si arrende mai, che sa dare le migliori risposte ad un mercato che diventa sempre più esigente, ma poi alla fine si ritrova nelle sue migliori tradizioni, che sono la forza di questo grande paese.
Sappiamo l’importanza ricoperta dall’export dell’agroalimentare per il nostro paese, quale impatto potranno avere allora le nuove logiche protezionistiche messe in campo dagli Stati Uniti attraverso l’uso dei dazi? Quale il pensiero in merito agli accordi di libero scambio e al Ceta?
“La risposta protezionistica è grave e dalle conseguenze imprevedibili per la stessa economia USA. Gli effetti rischiano di essere destabilizzanti anche dal punto di vista politico e sociale per molti paesi.
Il pericolo più grande è quello delle misure e contro-misure protezionistiche. In altre parole siamo ad un passo da una vera e propria guerra commerciale. Il che metterebbe a rischio anche i rapporti economici e politici tra le nazioni.
Sul CETA vorrei dire che è importante tutelare, da una parte, i nostri prodotti di eccellenza (Dop e Igp), dall’altra la sicurezza alimentare per i consumatori. Gli accordi sono sempre positivi, tanto più quelli come il Ceta che abbattono i costi doganali: occorre però superare le perplessità e le preoccupazioni che sono venute da più parti. Garantendo l’etichetta dei nostri prodotti, che vanno difesi e protetti, e le nostre aziende, spingendole verso le internazionalizzazioni.
– Sempre a proposito dell’export, rimane una questione fondamentale quella dell’aggredire il mercato da parte delle nostre aziende. Quali interventi giudica necessari da parte della politica per rendere più forti le nostre imprese e portarle sui mercati esteri? Consci di alcune criticità come la situazione con la Russia, l’eccessiva burocratizzazione, un certo gap tecnologico e d’innovazione, ecc.
“Il nostro punto debole è proprio la comunicazione, cioè le strategie vincenti che danno alle nostre eccellenze una marcia in più.
Così com’è oggi, la comunicazione delle nostre aziende spesso non è sufficiente a sostenere la crescita delle nostre produzioni nei mercati esteri.
Manchiamo di novità: la nostra è una comunicazione troppo legata al passato: cioè le fiere e la stampa tradizionale. Dobbiamo puntare molto al web e alle nuove tecnologie di comunicazione, guardando ai giovani; dobbiamo incentivare e sostenere campagne promozionali più moderne e alternative. In più occorre innestare, ancora e di più, la logica del distretto, della collaborazione tra aziende, per aumentare la competitività in un mercato globale molto aggressivo e spesso muscolare.
Con l’agricoltura non si può fare politica, e quando si fanno accordi internazionali le nostre produzioni non devono essere penalizzate”
– Come vede il nuovo corso del ministero di via XX settembre con a capo Centinaio. Cosa si aspetta nel breve e nel lungo periodo?
È presto per giudicare, ma voglio sperare che con il nuovo ministro si possa dialogare, ognuno dei propri punti di vista, e lavorare insieme in sede di commissione per dare le risposte più opportune ai problemi della nostra agricoltura.
Leggo dichiarazioni e buone intenzioni, ma ora attendiamo i fatti. Noi ci siamo, noi siamo pronti e disponibili, a dare le risposte più opportune al nostro sistema agroalimentare, che è un elemento fortemente positivo della nostra economia.
Dobbiamo dare le risposte più efficaci alle nostre imprese agricole, troppo spesso soffocate da una burocrazia insopportabile e da cronici ritardi. Dobbiamo lavorare per il superamento delle difficoltà sui mercati interni e internazionali.


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