La maggioranza è divisa al suo interno sul contenuto della legge e sulla stessa opportunità di approvare una qualsiasi normativa sul fine vita. Per questo ha tardato molto ad approvare una bozza e quella che ci ha finalmente proposto in molti punti è più che altro una dichiarazione di principio, che propone soluzioni impraticabili o incostituzionali, spesso per mera propaganda, evitando di entrare nel merito di una realtà che non si intende affrontare, ma c’è». Così Alfredo Bazoli, capogruppo del Pd in Commissione Giustizia al Senato critica la proposta della maggioranza nei suoi punti qualificanti: ruolo del comitato etico, cure palliative che non possono diventare obbligatorie e intervento del Servizio sanitario nazionale.
Ci sono ancora margini per una soluzione condivisa nel poco tempo che resta?
Diciamo che le premesse non sono delle migliori. Ho sempre chiesto un testo, o almeno una bozza, per poter far partire il confronto, e in mancanza avevo chiesto di partire dalla nostra bozza, così da poter provare a migliorarla insieme. Non hanno voluto, hanno cercato una loro sintesi, che con grande difficoltà hanno trovato, dopo un anno e mezzo. E ora ci troviamo in poco più di due settimane a dover cercare una convergenza, prima dell’approdo in Aula. Naturalmente sarà molto difficile arrivarci.
Veniamo ai singoli punti che contestate. Il comitato etico, innanzitutto.
Non va bene, sin dal nome. Chiamiamolo “scientifico”, o “tecnico-scientifico”, o come si vuole, ma così richiama inevitabilmente un’idea di Stato etico odiosa.
Ma voi contestate anche l’idea di un solo Comitato che decide per tutti.
Noi saremmo per dar vita a tanti comitati diffusi sul territorio, in modo da poter dar luogo a una procedura che sia più snella e pratica. Anche se i casi fossero solo poche decine, invece, un siffatto comitato unico e centralizzato avrebbe difficoltà ad operare, anche solo materialmente per andare a visitare il paziente, per verificare quali sono le sue effettive condizioni. Poi non va bene la nomina che avviene da parte della presidenza del Consiglio. In questo modo ogni maggioranza si farebbe il suo comitato, a dispetto dei criteri di imparzialità e autorevolezza ai quali un organismo del genere deve conformarsi.
Poi voi contestate la obbligatorietà delle cure palliative.
Qui in realtà le posizioni mi sembrano più conciliabili. Sulla sostanza siamo d’accordo, sul fatto cioè che vadano rese accessibili a tutti, su tutto il territorio. Ma allora, se siamo d’accordo, va cambiato il termine. La parola «inserite» dà l’idea effettivamente di una obbligatorietà, bisogna trovarne una che non appaia come un’imposizione, il paziente non può essere obbligato a farvi ricorso.
Ma lo scontro più forte sembra quello sul servizio sanitario nazionale.
Effettivamente è un tema molto importante. Anche qui non è che in premessa siamo tanto distanti. Anche noi pensiamo che non si tratti di un diritto da garantire, di un obbligo del Servizio sanitario di erogare un servizio. Ma detto questo come si fa a tenerlo fuori? Il ruolo del Ssn è fondamentale proprio per evitare che ci sia una deriva in queste pratiche in strutture non controllate. Altrimenti chi verifica le effettive condizioni del paziente, le modalità con cui si interviene? Senza contare che una scelta del genere si presta sicuramente a rilievi di natura costituzionale. Il paziente si rivolgerà a strutture private che forniranno medici, farmaci e attrezzature. Sarebbe una privatizzazione intollerabile del suicidio assistito con una evidente e inaccettabile disparità di trattamento fra cittadini abbienti e meno abbienti. È solo un chiudere gli occhi di fronte a una realtà che non si intende accettare, ma siccome c’è senza una normativa chiara e operativa finirebbe per restare fuori controllo.


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