E’ una bocciatura senza appello quella decretata pochi minuti fa dal Pd nella X Commissione del Senato per voce della Senatrice Teresa Bellanova.
Una bocciatura che lega analisi del dato tecnico e lettura politica dei rischi cui il Governo giallo verde sta esponendo il Paese. Ribaltando il quadro di “credibilità” conquistata in sede europea e internazionale grazie alle azioni dei precedenti governi e risolvendosi in un danno per l’economia reale, i cittadini, le imprese.
Il vulnus? L’assenza di una strategia di sistema e di misure rivolte allo stimolo della crescita economica, al sostegno delle imprese e alla riduzione del divario territoriale, l’isolamento del Paese derivato dalle anomale modalità di presentazione della Nota di aggiornamento e dagli scambi epistolari che l’hanno accompagnata, con il rischio di attacchi speculativi e possibile abbassamento del rating sui titoli pubblici.
“Nella scorsa legislatura”, ha ricordato la Senatrice Bellanova, “la credibilità dei governi ha favorito un dialogo continuo e costruttivo con le istituzioni europee in merito alle necessarie riforme della governance economica dell’Ue e a un’applicazione delle regole di bilancio più appropriata alle contingenze e alle caratteristiche dell’economia nazionale, consentendo una maggiore gradualità nel percorso di avvicinamento verso l’obiettivo di medio termine anche attraverso l’approvazione di ampi spazi di flessibilità per effettuare investimenti pubblici e per attuare riforme che hanno aggredito i limiti strutturali del nostro Paese”.
L’ottimismo, della Manovra, ha poi sottolineato la Senatrice Bellanova, è declinato esclusivamente al futuro: “la crescita attesa nel 2019-2021 rispetto alle previsioni tendenziali è per lo più dovuta, in relazione all’anno 2019, agli interventi che il Governo intende predisporre nella prossima legge di bilancio e a un ipotetico incremento della domanda interna allo stato attuale non suffragato da dati e segnali concreti”.
L’impianto, ha sintetizzato la Senatrice Bellanova, corre lungo due assi, entrambi pericolosi e dannosi. Da un lato scelte “che prefigurano un extra-deficit a partire dal 2019 utilizzato per interventi di tipo assistenzialistico, iniqui, incapaci di generare nuova occupazione, incentrati per lo più sulla spesa corrente e insufficienti dal lato degli investimenti pubblici e delle misure di stimolo della crescita e di riduzione del divario territoriale e non garantiranno la crescita economica attesa”. Dall’altro un ridottissimo spazio destinato a misure da introdurre nella prossima manovra di bilancio, relative ad incentivi, investimenti, innovazione, PMI. Mentre nel frattempo si abrogata l’Imposta sul Reddito Imprenditoriale (IRI), prevista in vigore nel 2019 con aliquota al 24 per cento ora superata dalla flat tax per le piccole imprese e lavoratori autonomi e si elimina l’aiuto alla crescita (ACE) per realizzare la misura di riduzione dell’aliquota sugli utili reinvestiti.
Ovvero quanto era stato previsto “per agevolare un insieme ampio di imprese (IRI) e favorire la loro capitalizzazione (ACE), che ora vengono abrogati per favorire un numero ristretto di soggetti beneficiari”.
E dunque il dato fiscale. Non quello della cosiddetta pace, così tanto reclamizzata dall’asse Di Maio-Salvini quanto “gli ulteriori aumenti di gettito preventivati che saranno realizzati attraverso le annunciate modifiche ai regimi agevolativi, alle detrazioni fiscali e alle percentuali di acconto d’imposta che riguardano imprese e cittadini, con ricadute sulla pressione fiscale a carico dei soggetti colpiti. Esattamente il contrario di quanto promesso in campagna elettorale, indicato dal Contratto, sbandierato in questi giorni”.