Signor Presidente, in campagna elettorale la Lega e il MoVimento 5 Stelle hanno assunto impegni per 150 miliardi di euro; è stato un grande inganno perché Di Maio e Salvini sapevano benissimo che i soldi per mantenere tutte queste promesse non c’erano, non ci sono e non ci saranno. I nodi però, uno dopo l’altro, verranno al pettine; anche i furbastri prima o poi devono fare i conti con la realtà e, fare i conti con la realtà, in Italia oggi vuol dire che il nostro debito pubblico sta calando in rapporto al PIL, ma l’anno prossimo dovremo collocare 375 miliardi di titoli. Fare i conti con la realtà vuol dire che gli spazi di bilancio sono limitati e bisogna utilizzarli con grande attenzione. Gli aumenti dell’IVA e delle accise vanno bloccati. Su questo siamo tutti d’accordo. Dobbiamo sapere però che fatta questa scelta, che vale 12 miliardi e mezzo per l’anno prossimo, di trippa per i gatti ne rimane molto poca. Bisogna scegliere e bisogna farlo bene. La via maestra per rilanciare lo sviluppo sono gli investimenti, signor Presidente.
Per rilanciare gli investimenti pubblici abbiamo fatto scelte importanti nella scorsa legislatura: abbiamo abolito il patto interno di stabilità e stanziato 82 miliardi di euro con le leggi di bilancio 2017 e 2018. Si può fare di più naturalmente, ma la prima cosa da fare – lo dico al Governo – è spendere rapidamente questi soldi intervenendo sulle procedure e sugli apparati amministrativi.
Bisogna continuare a sostenere gli investimenti delle aziende: Impresa 4.0, ecobonus e sisma bonus sono scelte strategiche che vanno confermate e rafforzate.
C’è una seconda grande priorità per il Paese ed è la lotta alle disuguaglianze. Il reddito di cittadinanza, che era una priorità del contratto di Governo, per com’è stato congegnato costa almeno 17 miliardi di euro (qualcuno dice 30) e rischia di degenerare in assistenzialismo. Ai 5 milioni di poveri di questo Paese dobbiamo offrire lavoro e inclusione sociale, non assistenza. Abbiamo iniziato a farlo nella scorsa legislatura, creando il reddito di inclusione: ripartiamo da lì, signora Vice Ministro. Oggi ci sono 3 miliardi su questo strumento; raddoppiando questa cifra, con 3 miliardi (e non i 17 del reddito di cittadinanza) potremmo aiutare tutte le persone in condizioni di povertà assoluta in questo Paese.
Serve lavoro per combattere le disuguaglianze. Il salario minimo è una misura che condividiamo. Lo abbiamo scritto nel nostro programma e va introdotto al più presto. Valuteremo con grande attenzione quello che farà il Governo in materia di lavoro. Vorremmo dire al ministro Di Maio di fare attenzione, perché l’ansia da prestazione rischia di portarci fuori strada. Capisco che Di Maio debba recuperare visibilità nei confronti del vero Presidente del Consiglio che si chiama Matteo Salvini; è legittimo, ma la fretta è cattiva consigliera.
Abbiamo presentato proposte in materia di contenimento del ricorso ai contratti a termine e riduzione della precarietà. Ce ne sono altre: valutatele con attenzione per fare le scelte giuste e trovare il giusto punto di equilibrio tra l’esigenza di flessibilità del mercato del lavoro e la lotta senza quartiere alla precarizzazione del lavoro.
Le tasse vanno ridotte, signor Presidente, lo diciamo tutti; noi però diciamo «partendo da chi ha più bisogno». La flat tax per le persone fisiche, da questo punto di vista, è una scelta radicalmente sbagliata: è sbagliata da un punto di vista sociale, perché aumenta le disuguaglianze, ma è sbagliata anche da un punto di vista economico, perché regaliamo 25 miliardi di euro ai contribuenti più ricchi che sono quelli con la minore propensione al consumo.
La flat tax costa 50 miliardi di euro per come l’avete scritta nel vostro programma; con poco più di un quinto di questa cifra potremmo istituire l’assegno unico di 240 euro al mese per i minori a carico; potremmo aumentare a 50.000 euro la soglia del regime dei minimi per le partite IVA; potremmo fare operazioni più mirate e molto più efficaci di riduzione della pressione fiscale, sapendo che le tasse vanno fatte pagare a chi evade, perché è una battaglia di civiltà.
Voi purtroppo – me lo lasci dire, signora Vice Ministro – state andando in una direzione opposta: parlate di semplificazione, ma volete abolire cose che abbiamo già abolito, come lo spesometro, e volete abolire misure utili contro l’evasione, come lo split payment e i limiti all’utilizzo del contante. Parlate di pace fiscale, ma molti di voi hanno in mente il condono tombale. Dove sono finiti, signora Presidente, quelli che gridavano «onesta, onestà»? Voi parlate di Terza Repubblica, ma tra condoni e lassismo qui stiamo tornando alla fase peggiore della Prima Repubblica.
Le pensioni, infine: avete promesso che tutti sarebbero potuti andare prima. In realtà quota 100 costa 20 miliardi e la montagna rischia di partorire il topolino: a 64 anni, ma con assegno tagliato. Attenzione, perché se fate quella scelta, i disabili, le famiglie di disabili, i disoccupati, quelli che oggi con l’APe social possono andare in pensione a sessantatre anni, con l’assegno pieno rischiano di dover andare in pensione più tardi e con una pensione tagliata. E sarebbe una scelta ingiusta da un punto di vista sociale. (Richiami del Presidente).
Ho realmente finito signora Presidente: a fine anno termina il quantitative easing della Banca centrale europea. Come direbbe il ministro Salvini, «la pacchia è finita»: la pacchia di una misura che ha fatto risparmiare 10 miliardi di euro ogni anno di interessi sul debito del nostro Paese, mentre ora rischiamo di dover pagare di più anche solo per uno spread che è 100 punti più alto rispetto alla fase pre-elettorale.
La madre di tutte le battaglie è il cambiamento delle regole dell’Unione economica e monetaria. Noi ci siamo e abbiamo presentato da tempo le nostre proposte. Vogliamo che siano discusse.
Battere i pugni sul tavolo magari fa guadagnare un po’ di attenzione, ma per vincere questa battaglia serve la politica con la “P” maiuscola: alleanze, proposte intelligenti, credibilità e capacità negoziale. Su questo sarete misurati, non sui post su Facebook, che lasciano il tempo che trovano. Il tempo delle promesse a vanvera è finito, signor Presidente, e sta arrivando il tempo dei fatti. Nella scorsa legislatura su molti fronti è stato fatto un buon lavoro, che noi pretendiamo venga finalmente riconosciuto. Ripartiamo da lì, evitando di disperdere i risultati raggiunti e affrontando con determinazione e serietà, una buona volta, i problemi che gli italiani ci chiedono di risolvere. (Applausi dal Gruppo PD).


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