Francesco Boccia, capogruppo del Pd al Senato, se l’aspettava questo successo della mobilitazione contro l’autonomia differenziata?
“Ci speravamo ma in questa misura no. Noi stiamo spingendo molto sulla piattaforma online e raccogliendo firme nelle feste dell’unità, ma c’è una mobilitazione generale nel Paese che solo Meloni non vede. Questa sarà una nuova estate militante dopo quella dell’anno scorso che ci hanno portato alla presentazione unitaria delle opposizioni della legge sul salario minimo. E anche lì la destra ignorò il paese reale votando contro il salario minimo in Parlamento. Ora come un anno fa c’è una grave sottovalutazione da parte del governo dei loro errori. L’autonomia di Calderoli è un clamoroso autogol”.
Qual è il dato politico che ricava da questo fermento?
“Innanzitutto che il Pd di Elly Schlein fa quello che promette e lo fa vivendo per strada. È un partito di mobilitazione permanente. Abbiamo oltre 4.500 circoli. Scherzando, ma non troppo, io dico che sulla presenza territoriale siamo secondi solo alla Chiesa cattolica, ai Carabinieri e a Poste italiane. La capillarità della nostra rete aiuta. Però va detto anche che Cgil, Uil, anpi e tutte le associazioni che hanno aderito stanno facendo un grandissimo lavoro. E c’è un fronte molto ampio, nato con la manifestazione del 19 giugno in piazza Santi Apostoli. Lì è nato il fronte costituzionale”.
Gli esponenti del centrodestra che sostengono la riforma ricordano però che lei, come ministro delle autonomie stava per approvare una riforma dell’autonomia differenziata.
“Nel 2020, con il secondo governo Conte, ottenemmo l’unanimità in conferenza unificata con i presidenti di Regione, Province e sindaci, perché dicemmo una cosa chiara: prima i Lep con le risorse e poi l’attuazione riducendo le diseguaglianze. Il ministro Calderoli, invece, non è mai voluto passare prima dalle conferenze con le istituzioni locali e non ha mai ottenuto l’unanimità ma le ha sempre spaccate. Non a caso la sua è una legge a invarianza di spesa. Ci vuole molta disonestà intellettuale per paragonare le due cose”.
Però la riforma del titolo V della Costituzione l’ha voluta il centrosinistra.
“Un’era geologica fa. Io all’epoca ero un professore universitario ed ero contrario, come dimostrano molti miei interventi. Ma questo non mi solleva dalle responsabilità culturali del gruppo dirigente. Elly Schlein poi nel 2001 era un’adolescente e attribuirle responsabilità dirette è ridicolo. Certo, alcuni errori sono stati fatti e bisogna riconoscerlo. Le preintese firmate in fretta e furia al tempo del Governo Gentiloni erano sbagliate, ma furono di fatto cancellate dal governo Conte 2.”
Anche Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia Romagna, nel 2017 le firmò.
“Ma propose un impianto molto light, poche materie e senza impatto di spesa. Non è mai andato sul terreno di Luca Zaia e Attilio Fontana, i governatori di Veneto e Lombardia, che hanno chiesto 23 materie. Fontana addirittura teorizzò anche la regionalizzazione della scuola e io personalmente mi opposi con tutto il Governo giallorosso con un secco no”.
Insomma, gli italiani hanno capito che le differenze sono sostanziali.
“Hanno capito che quello che il governo vuole approvare è un’altra cosa, è uno spacca Italia. Una riforma che non attua il principio di sussidiarietà ma crea venti piccoli e caotici staterelli”.
Come andrebbe attuato, invece?
“Intanto garantendo 100 miliardi per ridurre le diseguaglianze finanziando i livelli essenziali delle prestazioni. Poi dando più funzioni ai Comuni. Quella che invece vuole approvare il governo Meloni è l’autonomia del portafogli che crea un nuovo centralismo regionale. Va ad incidere sull’assistenza alle persone, dai nido agli anziani. Sul trasporto pubblico locale. Sull’organizzazione della scuola e della sanità. E’ tutto quello che interessa alla Lega perché vogliono tenersi le risorse e non partecipare alla distribuzione dei fondi di perequazione. Ma hanno fatto male i loro conti”.
Perché?
“Perché anche i settentrionali hanno capito che questo danneggia anche il Nord. Perché anche lì hai aree più ricche e aree meno ricche. La Lombardia ha bisogno di potenziare il trasporto pubblico locale non a Milano centro dove i problemi sono altri, ma nelle valli, sulla Pedemontana, dove hanno gli stessi problemi del Gargano o dell’Aspromonte. Devi mettere più scuola e sanità dove vive meno gente o dove ci sono redditi bassi. Lo schema della Lega è il contrario”.
Sta dicendo, insomma, che l’autonomia differenziata tende ad assecondare le concentrazioni territoriali di ricchezza prodotte dall’economia di mercato.
“Si accompagnano le ragioni del profitto. Il privato va dove c’è il profitto e non investirà mai in reti infrastrutturali nelle aree interne, dove non è conveniente. Ma l’alta velocità al Nord è stata finanziata anche con i soldi dei contribuenti del Sud. Che male hanno fatto i cittadini meridionali per non averla? Quando fu realizzata l’autostrada del Sole, si fecero le gare anche per le autostrade nel Mezzogiorno”.
Insomma, lei contesta questa autonomia differenziata.
“Noi diciamo che prima bisogna mettere a posto le diseguaglianze. Per i livelli essenziali delle prestazioni servono almeno 80-100 miliardi. Troviamoli, realizziamo queste opere e poi parliamo di un’autonomia che semplifichi la vita dei cittadini, ma senza creare nuove, ulteriori diseguaglianze. E interpretando in maniera corretta il principio della sussidiarietà”.