“È nel PCI togliattiano del dopo ’44, quel partito che scopriva il popolo nella realtà napoletana di allora, il più attrezzato secondo lui per rimettere in piedi la democrazia italiana che matura quel patrimonio culturale del suo riformismo, quella competenza che si deve unire alla capacità di cambiare, in meglio, l’esistente, che si legherà all’ideale europeo e su cui Napolitano costruisce tutto il suo percorso politico. “Il sentirmi europeo, il rapporto con la realtà dell’Europa e con il progetto dell’integrazione e unità europea – scrive nel 2016 – ha rappresentato uno snodo essenziale della mia esperienza, nel suo graduale evolversi e nel suo profondo rinnovarsi”. E sarà grazie a lui, e poi a tanti altri, che quel partito, il PCI, prenderà la strada per iniziare il percorso verso la famiglia del socialismo europeo.
Ma Giorgio Napolitano è stato soprattutto uomo del Parlamento e delle Istituzioni. Prima da uomo di partito, capace di posizioni diverse rispetto alla ‘linea’, ma sempre senza alzare la voce o minacciare scissioni, poi da parlamentare, da presidente della Camera, da ministro, da Presidente della Repubblica è stato uomo di Stato a tutto tondo. Tra i primi a comprendere le difficoltà e ad individuare le crepe del nostro sistema democratico, consapevole delle necessità di riforme strutturali del nostro sistema politico, le scelte di Giorgio Napolitano hanno sempre avuto come stella polare la difesa della nostra Costituzione e la tenuta del tessuto democratico, anche nei momenti per lui più difficili.
La necessità di riforme strutturali era già chiara per lui quando fu deputato: fra le proposte di legge a sua prima firma ci piace ricordare – per lo spirito che le animava e per la lungimiranza che le caratterizzava – le pdl sulla decretazione d’urgenza, sulla riforma dell’università e sulla contabilità generale dello Stato.
E la necessità delle riforme per lui è sempre stato un rovello.
“Bisognava dunque offrire, al paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi: passando di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di fiducia internazionale verso l’Italia”. Con queste parole Napolitano si espresse in Parlamento il giorno della sua rielezione a Presidente della Repubblica. Napolitano, come poi Sergio Mattarella, ha dovuto fare i conti con la crisi del nostro sistema politico, con leggi elettorali sbagliate, con la distanza sempre più forte tra voto dei cittadini e scelta del governo, con l’antipolitica e il populismo.
E sempre nel discorso di reinsediamento, evidente sintomo di una crisi del sistema, non ebbe parole morbide nei confronti del sistema politico e dei partiti colpevoli, come ebbe a dire in una intervista ad Eugenio Scalfari, “di pestare l’acqua nel mortaio”: “il vostro applauso, quest’ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza, non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme.
Protagonista della storia della nostra Repubblica, ha sempre difeso, da uomo del Sud, i valori dell’unità nazionale, e ha saputo dare alla parola ‘patria’ il corretto valore e la giusta dimensione.
Con lui se ne è andato un padre della nostra Repubblica, un politico a tutto tondo, un uomo di sinistra, un grande europeo”. Così il presidente dei senatori del Pd Francesco Boccia ricordando nell’aula di Palazzo Madama la figura di Giorgio Napolitano.


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