Noi che siamo usciti dalla Liberazione, che abbiamo compreso faticosamente e duramente ed a nostre spese che cos’era il Fascismo, noi che abbiamo vissuto la lotta di liberazione nazionale in maniera tragica e che abbiamo imparato a conoscere l’eroismo dell’antifascismo solo attraverso l’esempio glorioso dei suoi esponenti, perché dovremmo mancare a questo nostro compito verso le nuove generazioni? Perché non dovremmo insegnare loro quale rovina ha rappresentato il , Fascismo per il nostro paese, per le famiglie italiane, per la gioventù stessa, e quale gloria vi è nella tradizione dell’antifascismo italiano la cui opera è sfociata appunto nella guerra di liberazione?».

Sono parole pronunciate alla Camera dei Deputati, nella seduta del 12 luglio 1954, da Nilde lotti. Parole che oggi più che mai ci invitano a riflettere sul senso della nostra storia e della nostra memoria.

Il 25 aprile di settantuno anni fa, con la fine della guerra, dell’occupazione nazifascista,’ della dittatura, nascevano le ràdici del nostro Stato di diritto

Per questo oggi è una giornata di festa, una ricor­renza che riguarda tutti perché la Liberazione resti­tuì dignità al nostro Paese e inaugurò il cammino verso un’Italia libera e democratica.

Onorarne la ricorrenza non è un esercizio reto­rico, ma un’occasione per far pulsare il cuore della nostra identità di donne e uomini d’Italia e d’Europa. Quest’anno, la Festa del 25 aprile assume un significa­to ancora più profondo perché si lega alla ricorrenza dei 70 anni della nascita della Repubblica e del rico­noscimento del diritto di voto alle donne, anch’esso faticosamente conquistato dopo anni di lotte e dirit­ti negati, il contributo delle donne alla Resistenza, a lungo sottovalutato nella ricerca storiografica e nel dibattito pubblico, oggi è riconosciuto e ben eviden­ziato nelle tante storie che ci parlano delle staffette partigiane, oppure delle donne che costrette dagli eventi si armarono per sabotare le azioni degli occu­panti, e anche delle tante donne che rimaste lonta­ne dai propri mariti, compagni e fratelli impegna­ti in guerra, seppero condurre una vita da protago­niste nel tessuto sociale di quel tempo. Sono queste storie che intrecciate tra loro fanno la Storia, quella con la “s” maiuscola.

Dal 1943, dalla formazione dei primi Gruppi di Difesa della Donna per l’assistenza ai combattenti della libertà, alla lotta di Liberazione le donne affian­carono le istanze dell’emancipazione e della partecipazione. IGDDo rganizzarono la Resistenza nelle fabbriche, negli uffici, nelle campagne, e seppero svol­gere un ruolo determinante nel sostenere i partigia­ni e le loro famiglie. Lo ha ricordato bene lo scorso anno Marisa Rodano, intervenendo alla Camera per i 70 anni della Liberazione: «Per unanime riconosci­mento sia del CLN che degli stessi comandi nazisti, senza la partecipazione di massa delle donne, com­presa quella alla lotta armata, la lotta di Liberazione’ non sarebbe stata vittoriosa».

Sappiamo che da quelle esperienze uscirono raf­forzati l’associazionismo femminile e quei valori di eguaglianza e solidarietà che ritroviamo nella nostra Carta; nei suoi princìpi di non discriminazione, di parità tra donne e uomini nel lavoro, nell’accesso agli incarichi pubblici e nella partecipazione, di tutela della maternità, dell’infanzia e della gioventù, di ripudio della guerra, di libertà di culto e di pensiero.

Sono princìpi che ci chiariscono che dalla Resistenza nacque un nuovo modo di sentire, pensare ed agi­re per la tutela dei diritti umani, una cultura in gra­do di sostenere la realizzazione della persona e della sua dignità, e credo che questo sia il messaggio più prezioso che si possa condividere, oggi, con le giovani generazioni, un messaggio di unità e di pace, di spe­ranza verso il futuro.

Certo, c’è sempre chi è disposto a rovinarle, le feste. Le ricordiamo ancora, una per una, le tante polemi­che che ad ogni 25 aprile sono tornate alla ribalta, anno per anno, soprattutto quando, con la destra al governo, la ricorrenza è stata definita da alcuni come una festa di parte, oppure con amministratori che si rifiutavano di festeggiarla, auspicando che que-stagiornata venisse eliminata dal nostro calendario. Oggi questo clima, purtroppo, in parte sopravvive. È negli slogan di Salvini, che dopo aver etichettato l’an­tifascismo come «qualcosa di superato, dalibri di sto­ria», quest’anno ha tentato di macchiare questaFesta nazionale con l’onta della proposta di una manifesta­zione leghista contro Renzi e contro il Governo; è nei movimenti neofascisti, che sistematicamente offen­dono i luoghi della memoria e praticano razzismi e violenze di ogni tipo; ed è nell’ascesa in tutta Euro­pa dei vari populismi di cui mai dovremmo sottova­lutare cause ed effetti.

Tutto questo è frutto di una profonda ignoranza su ciò che è stato, ma anche di una cultura negazio­nista e revisionista su cui presto, spero, interverremo anche in Parlamento, portando avanti ad esempio le nostre proposte legislative che aggiornano le norme sull’apologia del fascismo.

Mi auguro si possa finalmente guardare a questa festa come alla festa di tutti e per tutti, per un ricor­do che è anche un esserci qui e ora, un guardare al futuro nella piena consapevolezza di quanto fatico­sa sia stata la costruzione della pace, della democra­zia, della libertà. Il 25 aprile rimarrà segnato in rosso sul nostro calendario, e continuerà a rappresentare una splendida occasione per ringraziare ed onorare coloro chelottarono e morirono per tutte e tutti noi, compreso Salvini, consegnandoci una promessa di libertà ed eguaglianza che ora dobbiamo alle giova­ni generazioni.

Buon 25 Aprile!

 


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