Susanna Camusso, Segretaria generale della Cgil dal 2010 al 2019, oggi senatrice e membro della Direzione nazionale del Partito Democratico. Referendum: la scelta è tra reazione e riformismo”. Così titolava questo giornale in prima pagina.
Posso proporre un altro titolo?…
Faccia pure.
La scelta è tra passato e futuro. Dove il futuro è il sì, mentre la negazione insiste a proporre la politica dell`austerità. Nel mondo è sempre più esplicita la critica al liberismo, si è compreso, infatti, che la crescita delle diseguaglianze deprime e non sviluppa l`economia, chi difende quelle politiche ha la testa nel passato. Per questo continuare a ridurla a Jobs Act sì o no, può solleticare la vanità di alcuni o il senso di tradimento di altri, se, invece, si alza lo sguardo, la domanda è la precarietà quanto ha impoverito la nostra economia? Ne abbiamo l`evidenza quando i pochi decimali di crescita sono l`effetto dei fondi PNRR, mentre la produzione industriale cala, la cassa integrazione cresce ed il lavoro povero si espande, e i salari diminuiscono.
La seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, che dichiara pubblicamente: “Farò campagna per l`astensione” ai referendum dell`8 e 9 giugno. I leader della destra che esaltano la scelta politica del non voto. Lo stesso fa la Segretaria della Cisl. Che democrazia è questa e perché si ha paura di questi referendum?
La nostra Costituzione prevede il voto come un diritto dovere. Per questo inorridisco quando sento dichiarare l`astensione come diritto, certo può essere una scelta che si fa individualmente, vi è la libertà di non partecipare, ma non un diritto.
Tutto questo, La Russa non lo sa o meglio non vuole saperlo. Eppure, che straordinaria conquista è stato il suffragio universale e come lo si svaluta in questo modo. Troppe volte il presidente del senato dimentica il suo ruolo, e troppe volte bisogna ricordarglielo e sottolineare come certe affermazioni sfregiano la Repubblica perché tradiscono la forza della democrazia che è fatta dalla partecipazione, dal diritto di contare di esprimere la propria opinione; la politica ed ancor prima le Istituzioni non devono mai svilire il valore del voto. Abbiamo, nei fatti, la seconda carica dello Stato che agisce come un “agit prop” di partito. Colpisce che la Cisl che, giustamente, ha appena utilizzato la legge di iniziativa popolare per affermare delle sue proposte, neghi altre forme di democrazia diretta; un grande sindacato che invita i lavoratori e le lavoratrici a non votare sui temi del lavoro e della cittadinanza è per me un dolore e ricorda, ahimè, più il corporativismo che la confederalità.
I malpancisti albergano anche nel centrosinistra. Di Calenda e Renzi sappiamo, ma anche dentro il PD c`è una fronda anti-Schlein. Il leitmotiv è sempre lo stesso: la campagna del Partito Democratico sui referendum è un regalo alla destra.
La campagna referendaria è un regalo alla destra suona come un ossimoro. E come dire che possiamo mobilitarci, fare delle lotte o delle campagne solo se sono vinte in partenza; condizione che non esiste mai. Temo che invece sia una strenua e sbagliata resistenza al ripensare le politiche necessarie a promuovere giustizia sociale. D`altronde c`è un elemento che mi ha sempre colpito, che i sostenitori di tante riforme che invocavano la modernità, non si siano mai interrogati sull`universalità dei diritti, non colgano l`ingiustizia dei diritti dispari, accettino che si possa trasformare un diritto in privilegio di una parte. Sostenere che a pari condizioni si hanno diritti diversi per data di assunzione e quindi per data di nascita che universalità è? Eppure, sul licenziamento illegittimo si è fatto esattamente questo. Il progresso a rovescio, la certificazione che le nuove generazioni dovevano stare peggio dei loro genitori. Credo che il regalo alla destra sia quello di ignorare che mentre loro continuano a precarizzare ed indebolire il diritto del lavoro, i referendum possono sostenere il cambiamento.
Per restare ai Dem, gli ipercritici della Segretaria sostengono, più o meno esplicitamente, che comunque vada Elly Schlein si consegna a Landini.
Da un lato queste accuse dimostrano che, sempre più, invece di argomentare si cerca un titolo di giornale. Dall`altro purtroppo rivelano quanto è stata introiettata la disintermediazione, un obiettivo del governo Renzi. La disabitudine a considerare il confronto con le parti sociali parte del processo democratico, elemento costitutivo della partecipazione. Rammento quando la disintermediazione era sostenuta in nome del primato della politica. Un primato forzato se basato sul cancellare i soggetti di rappresentanza. Poi c`è l`argomento semplice, molto utilizzato dagli esponenti di Italia Viva, la difesa di un voto espresso un decennio fa, quando nella corsa alla terza via si proponevano leggi, a mio avviso già fuori tempo e tristemente procicliche alla fase recessiva. Evidentemente non conta quanto i contesti cambiano, meglio fingere che globalizzazione, catene delle forniture, tecnologie siano immutabili, che non è cambiato nulla, che non servano maggiore libertà, autonomia e responsabilità del lavoro. Non si propone una valutazione degli effetti ma ci si rifugia nella categoria del riformismo che suona bene. Potrei invocare la coerenza tra contrasto della precarietà e critica al job act già nel programma elettorale oltre che nella mozione della Segretaria, ma quando l`accusa è la vicinanza alla Cgil, mi domando come può un partito ignorare dei referendum e non decidere un orientamento? Come può un partito considerare lavoro e cittadinanza temi su cui non invitare al voto e a partecipare? La torre d`avorio della non partecipazione è la premessa, questa si, della subalternità sulle politiche del lavoro e fa risuonare ipocrite le preoccupazioni sull`astensionismo del nostro popolo, che forse proprio sulle politiche per il lavoro si è allontanato.
Cittadinanza, lavoro, diritti sociali e, per andare oltre i quesiti referendari, una pace nella giustizia, per dirla con Papa Francesco, o una pace “disarmata” e “disarmante”, con le parole del suo successore Leone XIV: se non parte da questi temi e da queste battaglie la sinistra può ancora definirsi tale?
La sinistra nega sé stessa se non affronta e non ripensa a politiche che migliorino le condizioni di vita dei molti, se non sa costruire un orizzonte al quale guardare. La pace non si costruisce dopo, ma ogni giorno, e la si cancella se l`unica centralità è armi ed armarsi, cancellando diplomazia e cessate il fuoco. Armarsi non è un concetto astratto e non è automaticamente sinonimo di difesa. I morti delle guerre pesano sulla coscienza di tutti e tutte, non sono un altrove, condizionano il futuro. Quando si accetta il doppio standard e si arriva a teorizzare che un bimbo ucraino commuove più di un bimbo palestinese, quando si può tacere dell`uso della fame e della sete come arma di guerra per cacciare un popolo dalla sua terra si perde l`orizzonte. La sinistra nega sé stessa se pensa che si possano “rimpatriare gli afghani o esternalizzare le frontiere”. Sono tutti temi che ci interrogano sia nel nostro paese che in tanta parte del mondo, e sono essenziali per disegnare un orizzonte, per riproporre la giustizia sociale come bussola. Contrastare le diseguaglianze deve tornare ad essere il faro. Quali condizioni di lavoro nelle trasformazioni di oggi, quali diritti universali per riparare gli infiniti guasti del liberismo, come includere e combattere la povertà sono i temi dell`agenda da definire. Bisogna tornare a leggere con la lente della giustizia sociale ciò che accade: quando l`amministrazione Trump, nei suoi editti, cancella politiche e vieta parole sta cancellando persone, diritti conquistati, libertà perché ciò che non ha nome e non è nominato sparisce, lo sta facendo nelle aziende americane nel mondo e noi non lo stiamo vedendo. Intanto, la presidente del Consiglio magnifica i risultati ottenuti dal suo governo in economia e sull`occupazione. La propaganda da un lato e la colpa altrui sono i tratti di questo governo. Il paese non sta bene, da oltre due anni diminuisce la produzione industriale, e non si vedo- no strumenti per affrontare il problema, anzi si cancellano gli strumenti esistenti, si sono tagliate le risorse sulla politica industriale e non si riescono ad utilizzare le risorse per la transizione digitale. L`energia è diventato il maggior fattore di svantaggio delle imprese e si continua a parlare di costo del lavoro. I salari diminuiscono, le ore lavorate non crescono, il lavoro povero aumenta come il divario salariale con gli altri paesi. Le pubbliche amministrazioni agonizzano a partire dalla sanità per assenza di personale, organizzazione e risorse, ma siamo al terzo provvedimen- to che aumenta le figure apicali e nomina commissari. Il paese declina mentre il governo usa l`emergenza, come mantra per nascondere che non sa organizzare, pensare l`ordinarietà. L`occupazione di qualunque spazio, il sovvertimento dell`equilibrio dei poteri e i nuovi reati sono la loro vera agenda, del tutto ingiusta, pericolosa, inutile per affrontare un mondo che abbandona la globalizzazione, che non ha più regole condivise di mercato, che vede le tecnologie proprietà di pochi, e la crescita delle diseguaglianze. Un governo che conosce solo il Palazzo.