Susanna Camusso, già segretaria generale della Cgil, senatrice, neo eletta nella Direzione nazionale del “nuovo Pd” di Elly Schlein. Facciamo pace. Una guerra, tante guerre. È il titolo del suo libro edito da striscia rossa. Una critica delle guerre da sinistra. Su cosa si fonda?
Sulla constatazione che ci siamo messi alle spalle la bella stagione delle grandi idealità seguite alla fine della Seconda guerra mondiale e non abbiamo costruito un modello alternativo dopo la caduta del Muro di Berlino. Il liberismo e la Terza via hanno fatto credere che il mercato fosse il nuovo orizzonte del pianeta. È invece vero il contrario, come sostengo nel libro. Perché è la mancanza di un`equa redistribuzione della ricchezza, l`imporsi delle ferree leggi del mercato e l`affermarsi del liberismo come modello unico globale, a determinare i tanti conflitti che poi sfociano nelle guerre. Perché oltre a quelle combattute con i cannoni, dobbiamo ragionare sulle guerre per l`acqua, il cibo, l`energia, con i cambiamenti climatici, piuttosto che con l`aumento delle diseguaglianze e le violenze contro i poveri, i deboli, le minoranze, con un occhio particolare alla guerra di genere, quella degli uomini sul corpo delle donne. Ancora, dopo quattordici mesi di atroci scontri armati, distruzioni, morti, si sta combattendo solo per difendere il territorio e il popolo ucraino dalle insensate mire di Putin, o si pensa che si possa con la guerra attuare una nuova definizione degli assetti e degli equilibri del mondo? Ormai è assodato che siamo oltre le questioni legate alla difesa dell`Ucraina. Proprio il viaggio a Mosca del presidente cinese Xi Jinping indica come si stiano definendo nuovi rapporti di forza, in termini politici, economici, tecnologici e militari, tra i grandi protagonisti globali e come questo, a fronte delle contraddizioni degli Stati Uniti, evidenzi le debolezze dell`Europa alle prese con i sussulti interni ai singoli Paesi e incapace di assumere un ruolo autonomo e non subalterno. Si tagliano fuori interi continenti, penso all`Africa ma anche all`America Latina, ai quali si nega qualsiasi diritto di interlocuzione e li si riduce a conquista commerciale ed accaparramento di materie prime.
Siamo già in una economia di guerra?
Non mi convince questa espressione. Cosa significa? Le conseguenze che innegabilmente segnano la vita delle persone, la mancanza del grano piuttosto che l`assenza dei componenti o possiamo alzare lo sguardo e affrontare la logica distruttiva insita nell`accaparramento delle materie prime, delle risorse finite del pianeta, o il come, dove e quali merci produrre e scambiare? Non riesco ad accettare la predominanza, anche cultura- le della finanza e del profitto. Da qui nascono gli squilibri, le turbolenze, in molte occasioni le violenze che possiamo ricollegare alla strategia di sopravvivenza del neoliberismo, alla globalizzazione prima e la sua crisi oggi, con la nascita o la conferma di nuovi imperi. Di certo, come sempre avviene e come sosteniamo lungo tutte le pagine del libro, con le guerre alcuni si arricchiscono e tanti altri diventano più poveri. In questo quadro scegliere la sola via delle armi, della rincorsa ad aumentare le spese militari, mentre si rinviano scelte di contrasto alla crisi climatica, non si parla di politiche industriali e si tagliano risorse contro la povertà e si definanzia la sanità, determina o no un modello di sviluppo che alimenta diseguaglianze e ignora l`obiettivo della pace?
“Per l`America meglio le democrature dell`Ue. Chi ci salverà dall`Occidente?”. E il titolo di questo giornale all`intervista di Mario Tronti. Una sinistra che ripensa se stessa non dovrebbe assumere questo orizzonte critico?
Intanto va fatto un bilancio delle guerre succedutesi negli ultimi decenni. Ci accorgeremo come la soluzione militare costituisca un tragico fallimento. L`intervento Usa e della Nato ha forse portato sicurezza, pace e diritti umani, innanzitutto per le donne, in Afghanistan dopo venti anni di occupazione? In Medio Oriente, le due guerre del Golfo (1991 e 2003) hanno stabilizzato quell`area? E l`intervento dei caccia francesi e americani nel 2011 ha portato la libertà in Libia? Certamente ha contribuito a defenestrare Gheddafi, ma da allora una guerra civile insanguina senza sosta quel Paese. Qui entra in ballo l`Europa che rischia, se non si scrolla di dosso le sue debolezze e la sua subalternità al modello di bipolarità americano, di perdere per sempre il suo ruolo di protagonista di pace, democrazia e libertà che la fine della Seconda guerra mondiale le aveva riconosciuto ed assegnato. Tocca all`Europa di far vincere la pace. Ancora prima che nel dispiegamento delle truppe, i nazionalismi e i sovranismi, la logica dei muri e dei confini, dello stesso approccio securitario al fenomeno delle migrazioni hanno questo orizzonte. Quando sostengo nel libro che l`Europa non abbia un`idea di sé, del proprio territorio e di come convivere in pace, proprio a questo mi riferisco.
La guerra in Ucraina è entrata nel suo secondo anno. Si continua a discutere dell`invio di armi a Kiev. E la politica?
Insieme a tanti osservo con dolore il ritrarsi della politica. Si tratta -certa la condanna dell`invasione russa dell`Ucraina e il sostegno alla resistenza di quel popolo a difesa del suo territorio-, di andare oltre il dibattito “armi sì – armi no” per misurarci su come funziona (male) il mondo. Perché, mentre è in corso l`atroce conflitto russo-ucraino, le organizzazioni pacifiste segnalano circa 150 conflitti e aree di crisi in cui si spara, si uccide, si muore. Come Facciamo Pace intende dimostrare, si combatte e si muore anche per mancanza di acqua (o per il suo controllo), di fame e di sete, di povertà, di mancato accesso alle cure o all`istruzione, di restrizione delle libertà individuali o di intere comunità (Iran e curdi su tutti). La politica e i suoi strumenti dovrebbero servire a risolvere le questioni assicurando il benessere dei cittadini, rispondendo alle loro esigenze, alle loro necessità, Ma venendo al conflitto in corso in Ucraina penso che si debba procedere per gradi: la pace è un percorso complesso. Per questo avverto con angoscia lo scarso peso dell`Europa e dei vari consessi internazionali: ai proclami di condanna poi non segue con decisione alcuna incisiva attività diplomatica. Solo per questa strada si può giungere ad un cessate il fuoco seguito da una tregua. Questa può essere la condizione per un negoziato che porti poi ad un appuntamento con un respiro e una prospettiva più ampia: una conferenza internazionale in grado di affrontare complessivamente tutte le questioni, dai confini alla tutela delle minoranze, dallo status di territori che ambiscono ad una loro autonomia alla creazione di zone neutrali e smilitarizzate. Il principio, che deve valere per Putin e per tutti coloro che si comportano come lui, è che con la guerra non si va da nessuna parte: i risultati sono illusori, dietro l`angolo c`è il fallimento, e la tragedia per tutti.


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