Per Moro, Andreotti e Berlinguer il tema era la macchina fotografica. Per noi il tema è il selfie. Massimo Gramellini è riuscito, col suo articolo, a materializzarmi antichi e nuovi fantasmi; gli stessi che mi appaiono ogni volta che, in treno o agli angoli della strada, qualcuno mi rivolge la fatidica domanda: «Posso fare un selfie?». Confesso che, a volte, il look del richiedente amplia i miei timori e subito sono assalito da un inevitabile pensiero: da un lato quel selfie è per me un potenziale rischio perché non conosco l`identità delle persone che me lo chiedono; dall`altro sono consapevole che un rifiuto può essere frainteso e interpretato come una dimostrazione di sufficienza. È esattamente ciò che mi è capitato una settima fa alla stazione Termini: stavo perdendo il treno e mi affannavo fra la folla. Subito individuato da una famiglia in vacanza, alla richiesta di selfie, ho dovuto rispondere: «Sto perdendo il treno…». E immancabile ho sentito le lamentele di chi si sentiva snobbato da quel rifiuto forzato. Selfie libero o no, dunque? Temo che la domanda, in attesa di un codice di comportamento per i selfie, sia destinata a rimanere senza risposta. Io, come uomo pubblico, per ora non mi sento di dire di no e poi, caro Gramellini, le confesso che davanti all`incombenza ogni tanto mi sovviene una domanda ancor più insidiosa: come ci rimarrò quando non me lo chiederanno più?