Tutto in un giorno. La mattina di quel 18 gennaio del 1994 nasce il Ccd che apre il dialogo con Berlusconi, che proprio in quelle ore fonda Forza Italia. Nel pomeriggio Martinazzoli vara il Ppi. E il preludio al 29 gennaio, quando si scioglie la Democrazia Cristiana. «Mi sembra di vedere l`inizio di un film con Sordi: Tutti a casa». È111992 e queste parole di Martinazzoli, che poi daranno il titolo a un bel libro di Massimo Franco, saranno premonitorie. Chiude il partito della nazione. «L`elettore italiano sentiva la Dc come una madre, al massimo come una zia», dirà Umberto Eco. E Indio Montanelli: «La lotta politica in Italia si potrebbe restringere a quella interna di un solo partito, la Dc». Leonardo Sciascia: «La Dc è una specie di polipo che sa mollemente abbracciare il dissenso per restituirlo, maciullato, in consenso». Trent`anni dopo la morte della Dc che cosa rimane di
quei giorni? E cosa resta come eredità del partito che ha guidato il Paese per mezzo secolo? «La nascita del Ccd e del Ppi, quello che fu definito il parto gemellare, fu il tentativo, su fronti diversi, di proporre una seconda fase del ruolo dei cattolici- è l`analisi di Pier Ferdinando Casini -. Noi guardando al centrodestra, altri rivolgendosi al centrosinistra. Due esperienze con il loro limite, perché la storia difficilmente concede dei revival». Si chiudeva un`era, sotto i colpi di Mani pulite. «Tangentopoli fu la goccia, non la causa della fine della Dc – ancora Casini -. Lo sgretolamento inizia con la caduta del muro di Berlino. Crolla il comunismo, finisce la conventio ad excludendum, la guerra fredda, e trascinano a fondo il grande partito della nazione. Viene meno anche l`esigenza dell`unità politica dei cattolici. E una fine, ma anche il completamento di un percorso straordinario. La Dc muore quando è ormai riuscita a realizzare il suo compito storico». La politica non si può rileggere come una favola, sostiene Casini, che non nega il coinvolgimento della Dc in Tangentopoli, dopo anni in cui finanziare in quel modo i partiti, tutti, era apparso normale. Né nasconde le insinuazioni sulla mafia, accanto alle azioni per combatterla. o i fallimenti politici, come la questione meridionale rimasta insoluta. Ma difende l`approdo e il lascito della Dc. «Le nostre idee, a lungo contestate, sono diventate patrimonio comune del Paese. La scelta atlantica, ora data per scontata. La spinta europeista, e non solo sul fronte economico. Con Alcide De Gasperi che voleva l`unità continentale sulla politica estera e la difesa. Il multilateralismo, l`economia sociale di mercato, l`istruzione di massa, la gratuità e l`universalità delle cure mediche. E poi – dice Casini – la lezione dell`inclusività, la ricerca della condivisione. I
“cavalli di razza”, Moro e Fanfani, che aprono ai socialisti, poi la solidarietà nazionale, negli anni duri del terrorismo. Il voto per Nilde lotti presidente della Camera, l`attuazione delle Regioni, molte a guida Pci. E anche la spinta che contribuì all`Eurocomunismo, con Berlinguer che si disse più al sicuro sotto l`ombrello della Nato. Kennedy, che scrive a Fanfani chiedendogli di mediare sulla guerra in Vietnam. Le autostrade per unire il Paese». Un ritratto un po` troppo agiografico? «Il potere logora anche chi ce l`ha, parafrasando Andreotti – conclude Casini -. La politica non è l`Eden. Ma è al lascito storico che bisogna guardare. Il revival, invece, di chi continua a proporre la rinascita della Dc, non fa onore: non meritiamo di finire nel ridicolo».


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