«Se lo chiedesse non potremmo dire no Saremmo anche disponibili sui tempi»

«Il diritto alla difesa va garantito per tutti. Di conseguenza, se Silvio Berlusconi chiedesse di essere ascoltato dalla giunta per le elezioni del Senato, non credo che gli si possa rispondere con un «no». Non si tratta di una regola ben precisa, visto che in questa fase non è prevista da nessun regolamento. Ma, per quanto mi riguarda, consentire a Berlusconi di esporre le sue ragioni rientra in quel diritto alla difesa di cui sopra. Non sarebbe soltanto una questione di correttezza istituzionale visto che la giunta, in passato, l’ha fatto anche con tutti quelli che l’han richiesto…».

Stavolta non si tratta di un’argomentazione berlusconiana. Né, tanto meno, di quella di una colomba del Pd che sta sulla linea del «lodo Violante». Ad aprire alle ragioni del diritto alla difesa per Silvio Berlusconi, stavolta, è Felice Casson. Un insospettabile visto che il senatore del Pd è stato tra i primi a fare dell’accelerazione del voto sulla decadenza dell’ex premier un cavallo di battaglia. Ed è stato quello che con maggiore forza s’è opposto al rinvio del dossier alla Consulta prospettato da Violante nell’intervista al Corriere.

Non si muove dalle sue posizioni, infatti, l’ex magistrato veneziano. E contrario all’allungamento all’infinito dei tempi, «perché a questa vicenda la giunta ha già dedicato tre sedute, nelle quali s’è definito un calendario dei lavori condiviso da tutti i componenti». Un tempo molto lungo, «tenuto conto

che nelle ultime settimane ciascuno di noi ha letto le carte e si è fatto un’idea chiara di come stanno le cose». Ma se Berlusconi chiedesse di essere ascoltato, la situazione — anche se di poco —cambierebbe. «Se lo richiedesse, ripeto, nessun problema. E, a patto che non si tratti di un trucco per rinviare alla lunga il voto, gli si darebbe anche disponibilità sui tempi. Potrebbe ve¬nire il lunedì 9 settembre, il giorno in
cui ricominciano i lavori. Oppure martedì, o mercoledì… Entro la settimana, diciamo».
E poi? Cosa succederebbe dopo? «Dovremmo vedere che cosa scrive nella relazione il senatore del Pdl Andrea Augello», aggiunge Casson. In caso di voto contrario, come da regolamento, verrebbe nominato un nuovo relatore tra quelli che si sono espressi contro. E quindi, verosimilmente, un esponente del Pd, di Sei, di Scelta Civica o di Cinquestelle.

«Poi si aprirebbe una seconda fase, una fase cosiddetta ‘pubblica’, in cui Berlusconi potrebbe decidere di ripresentarsi in giunta, accompagnato da un avvocato».
La possibile scansione dei tempi, che quindi andrebbe oltre la data del 9 settembre, è tutta qua. Casson non prevede sorprese in quello che sarà il voto nella giunta. Al contrario del suo collega socialista (ma eletto nel Pd)
Enrico Buemi, convinto che alla fine nell’organismo di Palazzo Madama venga fuori una maggioranza a favore

del rinvio alla Corte costituzionale.

«Non so da dove il collega Buemi ricavi questa conclusione. Se sa qualcosa di più, forse è il caso che lo dica. Tra l’altro, anche il senatore Della Vedova di Scelta Civica ha detto chiaramente che per lui la legge Severino è costituzionale», scandisce l’ex magistrato. Che, dell’ipotesi che la storia finisca alla Consulta, non vuol proprio sentir parlare. «È un tema che in diritto non esiste. Come non esiste la storia della retroattività. Se qualcuno vuole cercare qualche scusa per non votare, che ne trovi qualcuna più credibile. Oppure che si assuma la responsabilità di votare contro la decadenza del senatore Berlusconi».
Già, la responsabilità pubblica.

Col voto segreto dell’aula del Senato sparirà. «Attenti al voto segreto», ha detto ieri Luciano Violante citando i senatori di Cinquestelle («Sono giovani…»). E Casson: «Si figuri, dei rischi del voto segreto avevo parlato anche io. Bisogna stare attenti anche perché in questa storia ci sono degli interessi delicati che si intrecciano o che si contrappongono…». Con un rischio all’orizzonte: «Se il Senato respingesse la decadenza, sarebbero i giudici alla lunga a sollevare di fronte alla Consulta un conflitto d’attribuzione. E la Corte darebbe certamente loro ragione. In questo caso, il Parlamento dovrebbe fare i conti con una figuraccia istituzionale mai vista nella storia della Repubblica».