Negli ultimi due-tre anni si sono verificati avvenimenti di straordinario rilievo che costituiscono un riferimento importante per il dialogo tra politica e religioni: certamente non possono lasciare indifferente una sinistra plurale europea.
Benedetto XVI si è dimesso: erano quasi 600 anni che non si verificava un fatto del genere. Le dimissioni sono state vissute dai credenti con preoccupazione e angoscia: al tempo stesso come un segno di grandezza nell`umil- tà. Il riconoscimento della propria debolezza da parte del papa teologo, per quanto opposta alla reazione che di fronte a vecchiaia e malattia ebbe Giovanni Paolo II, allo stesso modo ha incontrato la partecipazione dei credenti, il rispetto anche di quanti non avevano condiviso le scelte del suo magistero. Nella caduta dei valori che sembra sommergerci, quella di Benedetto sempre più è apparsa come una lezione di vita e di fede.
Il conclave ha dato alla Chiesa un papa che ha segnato una svolta impressionante, riaccendendo la speranza nei credenti e affermandosi nel mondo come unico leader morale, espresso da quella stessa Chiesa che appariva a molti in crisi irreversibile. La svolta si annunciò già al suo presentarsi in piazza san Pietro: il nome, inedito, Francesco, che già allude ad un progetto; la sottolineatura del suo ruolo di pontefice della Chiesa universale, in quanto vescovo di Roma; il suo raccoglimento, a capo chino davanti al popolo, a cui aveva chiesto di pregare Dio perché benedicesse il vescovo, prima della benedizione del vescovo ai fedeli.
Si conferma la possibilità di intese – rispettose delle reciproche autonomie – tra forze progressiste e Chiesa. Il dialogo riguarda le sfide aperte di fronte a noi: il futuro delle nostre società; l`affermazione della dignità di ogni persona, non scontata di fronte alla rivoluzione tecnologicoscientifica, alla globalizzazione, al vacillare della democrazia ancora chiusa nei confini degli Stati nazionali; uno sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile, senza il quale fraternità e pace sarebbero un`illusione. Nella definizione della missione della Chiesa, per il papa sta la distinzione di ruoli e la reciproca autonomia con la politica: a quest`ultima spetta il compito di contribuire a rendere la vita delle società sempre più umana, ancorandola ai valori della solidarietà, della giustizia, del diritto e della pace.
L`opposizione alla guerra, almeno a partire dai papi che hanno guidato la Chiesa nel XX secolo, rappresenta un aspetto costante. Non è sempre stato così: a lungo il riferimento alla possibilità di una guerra giusta ha avuto cittadinanza nella Chiesa. L`entrata sulla scena della storia del rischio di una catastrofe nucleare ha spazzato via ogni ambiguità.
C`è una continuità, nel magistero degli ultimi papi, nel condannare la guerra e invocare la pace: da Giovanni XXIII, con quella straordinaria Enciclica che fu la Pacem in terris, a Paolo VI, con la Populorum progressio e il grido, nel discorso all`Onu, «mai più, mai più la guerra!, da Giovanni Paolo II, con il suo tenace, disperato, purtroppo vano tentativo di impedire l`intervento militare in Iraq, alla lezione di Benedetto XVI, per affermare la non violenza tra gli uomini e con il Creato.
Quello che ha colpito nel ruolo di papa Francesco contro un intervento militare esterno in Siria, non è stato dunque il no all`uso delle armi, ma la forza delle sue parole, la capacità di chiamare a raccolta, in una grande azione politica, cristiani, credenti di altre religioni, non credenti. Il popolo della pace questa volta ha prevalso: non era scontato.
Parole, gesti, decisioni del nuovo papa hanno fatto intravedere un progetto di rinnovamento della Chiesa.
Dopo oltre un millennio è stata posta fine alla monarchia pontificia. Il messaggio di Francesco è il rifiuto di apparire come un capo di Stato: la missione del papa non è di ordine temporale.
Occorre cogliere l`impostazione che guida questo primo anno di pontificato: da un lato la priorità che deve tornare a rappresentare la solidarietà; dall`altro la scelta del dialogo con tutti, non solo con i credenti, ma con gli uomini e le donne che vivono la difficile quotidianità di questo inizio di secolo.
Estratto dal libro di Vannino Chiti ‘Tra terra e cielo. Credenti e non credenti nella società globale’
Benedetto XVI si è dimesso: erano quasi 600 anni che non si verificava un fatto del genere. Le dimissioni sono state vissute dai credenti con preoccupazione e angoscia: al tempo stesso come un segno di grandezza nell`umil- tà. Il riconoscimento della propria debolezza da parte del papa teologo, per quanto opposta alla reazione che di fronte a vecchiaia e malattia ebbe Giovanni Paolo II, allo stesso modo ha incontrato la partecipazione dei credenti, il rispetto anche di quanti non avevano condiviso le scelte del suo magistero. Nella caduta dei valori che sembra sommergerci, quella di Benedetto sempre più è apparsa come una lezione di vita e di fede.
Il conclave ha dato alla Chiesa un papa che ha segnato una svolta impressionante, riaccendendo la speranza nei credenti e affermandosi nel mondo come unico leader morale, espresso da quella stessa Chiesa che appariva a molti in crisi irreversibile. La svolta si annunciò già al suo presentarsi in piazza san Pietro: il nome, inedito, Francesco, che già allude ad un progetto; la sottolineatura del suo ruolo di pontefice della Chiesa universale, in quanto vescovo di Roma; il suo raccoglimento, a capo chino davanti al popolo, a cui aveva chiesto di pregare Dio perché benedicesse il vescovo, prima della benedizione del vescovo ai fedeli.
Si conferma la possibilità di intese – rispettose delle reciproche autonomie – tra forze progressiste e Chiesa. Il dialogo riguarda le sfide aperte di fronte a noi: il futuro delle nostre società; l`affermazione della dignità di ogni persona, non scontata di fronte alla rivoluzione tecnologicoscientifica, alla globalizzazione, al vacillare della democrazia ancora chiusa nei confini degli Stati nazionali; uno sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile, senza il quale fraternità e pace sarebbero un`illusione. Nella definizione della missione della Chiesa, per il papa sta la distinzione di ruoli e la reciproca autonomia con la politica: a quest`ultima spetta il compito di contribuire a rendere la vita delle società sempre più umana, ancorandola ai valori della solidarietà, della giustizia, del diritto e della pace.
L`opposizione alla guerra, almeno a partire dai papi che hanno guidato la Chiesa nel XX secolo, rappresenta un aspetto costante. Non è sempre stato così: a lungo il riferimento alla possibilità di una guerra giusta ha avuto cittadinanza nella Chiesa. L`entrata sulla scena della storia del rischio di una catastrofe nucleare ha spazzato via ogni ambiguità.
C`è una continuità, nel magistero degli ultimi papi, nel condannare la guerra e invocare la pace: da Giovanni XXIII, con quella straordinaria Enciclica che fu la Pacem in terris, a Paolo VI, con la Populorum progressio e il grido, nel discorso all`Onu, «mai più, mai più la guerra!, da Giovanni Paolo II, con il suo tenace, disperato, purtroppo vano tentativo di impedire l`intervento militare in Iraq, alla lezione di Benedetto XVI, per affermare la non violenza tra gli uomini e con il Creato.
Quello che ha colpito nel ruolo di papa Francesco contro un intervento militare esterno in Siria, non è stato dunque il no all`uso delle armi, ma la forza delle sue parole, la capacità di chiamare a raccolta, in una grande azione politica, cristiani, credenti di altre religioni, non credenti. Il popolo della pace questa volta ha prevalso: non era scontato.
Parole, gesti, decisioni del nuovo papa hanno fatto intravedere un progetto di rinnovamento della Chiesa.
Dopo oltre un millennio è stata posta fine alla monarchia pontificia. Il messaggio di Francesco è il rifiuto di apparire come un capo di Stato: la missione del papa non è di ordine temporale.
Occorre cogliere l`impostazione che guida questo primo anno di pontificato: da un lato la priorità che deve tornare a rappresentare la solidarietà; dall`altro la scelta del dialogo con tutti, non solo con i credenti, ma con gli uomini e le donne che vivono la difficile quotidianità di questo inizio di secolo.
Estratto dal libro di Vannino Chiti ‘Tra terra e cielo. Credenti e non credenti nella società globale’