Quando ci troviamo di fronte alla morte ne siamo atterriti. E’ il grande mistero della vita che si (e ci) trasforma nel grande mistero della morte. Ma anche di fronte alla vita spesso rimaniamo sbigottiti. Per quello che ci riserva. Per quello che ci costringe ad affrontare.
A Fabo è successo questo, come a tantissime altre persone che, per ragioni diverse, si trovano in bilico su quella sottile e fragile linea che passa tra la voglia di continuare a vivere (nonostante tutto e contro tutto) e il preferire morire (per dare pace a se stessi e alle persone che si amano).
Chissà quante volte Fabo è passato da una parte all’altra di questa linea. Chissà come si è sentito nell’immaginare la propria esistenza perennemente attaccato a una macchina, immobilizzato. Chissà quale sentimento profondo ha trovato e provato dentro sé per andare via in pace dalla sua famiglia e dall’amata fidanzata. Chissà.
Ognuno di noi può darsi delle risposte, che sono intime, legate alle proprie convinzioni etiche, religiose, morali, ma esiste poi una dimensione sociale e pubblica di una questione così complessa quale è la fine della vita. Esiste un diritto alla dignità e alla libera scelta che chiamano in causa quello che uno stato civile deve fare, cioè dare ai cittadini delle norme che assicurino una vita (ma anche una morte) decorosa.
A Fabo sicuramente è mancato questo. Nel dramma che ha vissuto in prima persona e in quello della sua famiglia lo Stato non ha potuto/saputo assicurargli una fine decorosa. E così, con tutto il suo fardello di dolore fisico ed emotivo, è dovuto andare in un altro Paese, per urlarci da lì (lui che urlare non poteva) che la vita, come la morte, devono essere un diritto ai quali si risponde in prima persona.
E’ un tema forte. Che chiama in causa tutta la nostra capacità di elaborazione filosofica, religiosa, etica e scientifica. Ma è un tema che non può più restare fuori da una chiara regolamentazione.
L’Italia è in Europa tra quei Paesi che ancora non ha dato alla luce una legislazione sul fine vita. La legge sul testamento biologico – che è solo una piccola e parziale risposta e che comunque non affronta la questione dell’eutanasia attiva o passiva e del suicidio assistito, come chiarito anche ieri dal presidente Gentiloni – è ferma in Parlamento.
Ostacolata da migliaia di emendamenti di vari gruppi politici, a partire dalla Lega, che ieri per bocca di Salvini ha avuto addirittura l’ardire di invocarne subito l’approvazione. Una sceneggiata ipocrita e vergognosa.
E’ giunta l’ora che in Parlamento ognuno si prenda le proprie responsabilità e che in tempi rapidi un primo passo verso la civiltà del fine vita venga fatto. Serve una legge che assicuri il diritto alla propria libertà di scelta. Si badi bene: libertà significa proprio difendere e affermare con forza l’importanza della scelta, qualunque essa sia. Ma che sia libera, per tutti. Perchè la nostra vita così come la nostra morte ci appartengono, tanto quanto le scelte di tutti i giorni. E’ quanto di più intimo e profondo abbiamo e dobbiamo tutelarle. Tutte.