Caro direttore, dopo la presentazione del nuovo Piano industriale e mentre è in corso la consultazione pubblica voluta dal Governo in preparazione della nuova Concessione e del conseguente Contratto di servizio, appare sempre più evidente come la trasformazione della Rai in una Media Company d’avanguardia sia una sfida fondamentale per il rilancio del Paese. Negli anni del duopolio, del conflitto d’interessi e della continua omologazione agli standard della tv commerciale, il servizio pubblico ha perso identità e funzione, credibilità e legittimazione. Per riconquistare terreno servono discontinuità e rottura di rendite di posizione. Nel tempo della rivoluzione digitale, del social web e dell’interattività, è quanto mai necessario investire in un servizio pubblico universale e in politiche pubbliche nel sistema delle comunicazioni per riequilibrare gli effetti distorsivi del mercato.
La Rai deve stare nel mercato distinguendosi, generando contenuti riconoscibili, in cui i cittadini possano riconoscersi. Dando voce alla società con l’obiettivo di affrontare le fratture sociali che l’attraversano, promuovendo inclusione, crescita, coesione e partecipazione. Questi devono diventare i parametri per rilevare l’utilità e lo stato di salute del servizio pubblico, e non più e non solo l’audience. Oggi c’è un “grande freddo” tra la Rai e le nuove generazioni dei nativi digitali, abituate a crearsi in proprio palinsesti individuali aggregando contenuti dalle varie piattaforme multimediali. Ma quelle generazioni sono il nostro presente e il nostro futuro e se il servizio pubblico non sarà in grado di stabilire con loro una connessione forte e duratura, non avrà più ragion d’essere. Serve ripensare e contaminare linguaggi, formati e generi; aprire gli spazi al pluralismo culturale, che è l’essenza del servizio pubblico. E serve più informazione. Nei nuovi palinsesti appena presentati vedo invece una criticità: l’informazione arretra a favore dell’intrattenimento. Penso sia un errore strategico, in un momento segnato da un contesto internazionale convulso e drammatico che rafforza nel pubblico la necessità di riferimenti certificabili e verificabili, di un punto di vista oggettivo, autorevole, indipendente che aiuti a comprendere quanto avviene.
Su alcuni argomenti il servizio pubblico non può essere neutrale, deve avere una funzione civica e una linea editoriale che rispecchi i valori costituzionali. È difficile impedire ai privati di costruire ascolti, ricavi e fortune elettorali sulla paura, sull’insulto e persino sull’odio. A maggior ragione deve esserci un servizio pubblico forte e autonomo che promuova valori condivisi. Per fare questo, per avere visibilità e massa critica, servirebbero una testata o una newsroom unica. L’attuale assetto dell’informazione in Rai è ormai superato e senza una reinvenzione rischia di disperdere grandi potenzialità. Valorizzare gli interni e metterli nella condizione di esprimere la propria professionalità è tra gli aspetti primari del rilancio.
Ma la principale questione del personale non è quella dei vertici o dei conduttori. La Rai è stata grande in passato perché ha immesso dall’esterno per concorso i migliori under 30 allora in circolazione. C’è bisogno di un’operazione analoga, perché oggi la Rai appare un’azienda anziana, senza ricambi dal basso. È il momento di far entrare i 100 vincitori di concorso, ma soprattutto – per sopravvivere nell’epoca della competizione globale che si gioca su innovazione creativa e culturale – di indire un grande concorso europeo, rivolto ai giovani talenti dei mestieri della comunicazione, per trasformarla nella Media Company del futuro. Un’operazione straordinaria di investimento nel capitale umano, di apertura e dinamismo. La Rai deve essere finalmente capace di affrancarsi dallo strapotere dei cartelli monopolistici delle grandi case di produzione e dei manager onnipotenti. L’industria audiovisiva ha molteplici potenzialità, ha un peso crescente nell’economia mondiale e ancor di più nella formazione dell’immaginario collettivo. In questo settore l’Italia può e deve essere protagonista. Una grande Rai è il nostro nrinrinalp strumento di politica industriale e culturale. Se avremo coraggio e determinazione, la Rai potrà essere al pari delle grandi imprese internet e dei grandi produttori tv e l’Italia diventare una delle principali capitali della nuova televisione mondiale.


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