L’inasprimento delle pene per chi commette violenza sulle donne è certamente un buon segnale, ma non risolutivo ed la via più comoda per gli annunci. Ci sono però altri fronti su cui bisogna lavorare, a partire da prevenzione e protezione sociale delle donne. È l’opinione di Valeria Valente (Pd), presidente della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, a proposito degli interventi annunciati dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per il contrasto della violenza sulle donne. Quanto alla posizione critica del Movimento 5 Stelle sul convegno di Verona sulla famiglia, non impedisce di “sdoganare “il messaggio regressivo che arriva dal Governo”.
Presidente Valente, ha letto le dichiarazioni del ministro Bonafede con cui annuncia un inasprimento delle pene per chi commette violenza sulle donne?
Prendere coscienza che c’è un fenomeno drammatico da aggredire è un bene. Un fenomeno, come abbiamo detto più volte, per giunta non emergenziale ma strutturale, culturale e sociale. Le misure individuate dal ministro sono necessarie, ma da sole, però, insufficienti, anche perché vanno a battere un terreno già battuto nella precedente legislatura, durante la quale noi abbiamo già fatto molto sul piano penale e non solo. Sinceramente mi aspetterei interventi su altri fronti dove siamo riusciti a intervenire poco. Penso al rafforzamento della rete di protezione, a un maggiore coordinamento tra tutti i servizi che lavorano sulla presa in carico della donna dopo la prima denuncia dopo fenomeni di violenza, ad esempio. O a uno sforzo maggiore sulla raccolta dati o a più supporto ad Asl, forze dell’ordine e centro anti-violenza.
Il ministro ha posto molto l’accento sull’aspetto penale connesso a femminicidio e violenza sulle donne.
Noi abbiamo già inasprito le pene, come siamo già intervenuti dal punto di vista del procedimento penale. Questo terreno è il più battuto, anche perché non porta grosse spese dal punto di vista delle risorse. Agire solo sul piano penale consente certamente l’effetto annuncio. Tuttavia, oggi dopo il lavoro che abbiamo fatto, non è quello prioritario. Si fa ancora una fatica enorme a far emergere le denunce di violenza.
Incrementare le pene non può risolvere un fenomeno così complesso…
Guardi, basti ricordare le tre P della Convenzione di Istanbul: sulla punizione si sono fatti già molti passi avanti, sulla protezione bisogna insistere ma prima di tutto, oggi, viene la prevenzione. Questo vuol dire costruire una cultura del rispetto della donna, della sua libertà, della sua autonomia e del suo corpo che non può essere più considerato un oggetto al servizio dei maschi. Il fenomeno è sociale e culturale, fondato sul fatto che il maschio sente il bisogno di affermare il suo ego, il suo dominio e la sua identità perduta anche in una dinamica profondamente mutata nel rapporto uomo-donna. E per aggredire questo fenomeno bisogna lavorare in primis con i ragazzi nelle scuole; poi combattere tutta la comunicazione stereotipata, inclusa quella della pubblicità come pure quella che circola sui social media.
Il governo, su questi fronti, non fa ancora abbastanza?
Ci sono provvedimenti sostenuti da governo e maggioranza che rischiano di alimentare una cultura regressiva. E che invece di arginare questa arretratezza, rischiano di alimentarla. Penso al ddl Pillon o alla proposta per la riapertura delle case chiuse, ad esempio. Il ddl Pillon ripropone un dimensione arcaica e medievale, dove la donna è subalterna e addirittura soggetta a ricatto nella propria libertà, anche attraverso l’uso strumentale dei figli. Il punto qui è l’esercizio di un potere, quello maschile.
Al convegno di Verona sulla famiglia sponsorizzato dalla Lega i 5 Stelle non andranno. Anzi lo stanno criticando duramente, quasi a voler mettere in evidenza una profonda differenza. Lei non vede il rischio che i 5 Stelle provino a pescare nei temi del Pd?
Da una forza di governo mi aspetto dopo le parole i fatti. E invece basta guardare quello che sta accadendo con il ddl Pillon: va avanti? Si ritira o non si ritira? Bene che un 5 Stelle dica di non andare al convegno di Verona sulla famiglia, ma intanto il messaggio che arriva da Verona viene sdoganato. Un convegno con quei toni e interlocutori pone un problema di coerenza per una forza che è con te in maggioranza. Non basta prendere le distanze, se poi la cultura di governo che si esprime è quella lì. Ed è fortemente regressiva, andandosi a inserire in una dimensione di Stato illiberale che chiude gli spazi dei diritti. Come al solito, quando c’è un fenomeno di difficoltà, poi lo pagano sempre le donne. Lo abbiamo visto con la crisi, sono state loro a pagare il prezzo più alto.


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