Dai cosiddetti disertori fucilati
dall’Esercito durante la Prima guerra mondiale fino alla
carcerazione di Antonio Gramsci, dalla fine di Giacomo Matteotti
alla strage di Bologna: sono tanti i grandi fatti della storia
italiana su cui si può immediatamente togliere il velo del
segreto secondo il senatore Gianni Marilotti, presidente della
commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico del Senato,
che chiede agli archivi di ministeri e forze armate di
rispettare le direttive Prodi, Renzi e Draghi in materia, perché
“è arrivato il momento di imprimere una svolta decisiva nel
diritto alla conoscenza che il nostro Paese attende da troppo
tempo”.
“Su terrorismo e stragi, il segreto dura massimo 15 anni –
spiega all’ANSA Marilotti, che oggi ha reso pubblica una
audizione finora secretata del generale Francesco Delfino del
1997 sugli anni di piombo -. Chi dopo 60 anni ritiene di porre
ancora il segreto di Stato deve motivarlo al Copasir. E per
questo sarebbe utile una direttiva da parte del premier Draghi
per chiarire ai vari archivi che devono riversare nell’archivio
centrale di Stato il materiale, che così diventa immediatamente
pubblico”.
I primi riscontri positivi sono arrivati dal ministero degli
Esteri e da quello della Difesa, sottolinea Marilotti, che in
questi anni ha fatto i conti con un uso “egocentrico” degli
archivi. “Nelle carte secretate non si trova la pistola fumante,
ma – sottolinea – piste utili agli storici, ai comuni cittadini,
agli studenti per risalire alla dinamica degli eventi dela
nostra storia, spesso tragica e con preoccupanti coni d’ombra.
Un’ombra che permane a lungo anche per la gestione sciatta degli
archivi”.
Alla luce dell’audizione in cui Delfino parlò di “fascicoli
personali permanenti” conservati dal comando generale dei
carabinieri, Marilotti si chiede se ne esistono anche su
personaggi come Matteotti e Gramsci: “Se ci sono, cosa si
aspetta a renderli pubblici?”. “E forse – ipotizza ancora il
senatore del Pd – è rimasta anche traccia delle fucilazioni dopo
Caporetto: le famiglie vogliono ristabilire l’onore dei loro
cari, in passato abbiamo incontrato fortissime resistenze da
parte dell’Arma e dell’Esercito, che ritenevano di non dover
rendere pubblici gli atti dei processo per i disertori fucilati,
per una questione di decoro. Questo non può essere più
tollerato”.