“E’ vero che gli atenei telematici intercettano bisogni, come ha detto la ministra Bernini nell’Aula del Senato nel corso del question time, ma non vorremmo che, in assenza di un welfare forte e di questioni aperte di diritto allo studio quali le residenze e i costi per i fuorisede, si affidassero gli studenti con meno risorse a un livello qualitativo più basso di istruzione universitaria. Con le dovute differenze tra i due sistemi, le regole applicate devono essere le stesse. Troppe cose sono accadute: dagli esami fatti ancora solo online, alle università divenute società di capitale e obiettivo di fondi di investimento stranieri. Il profitto può confliggere con la qualità dell’istruzione universitaria”. Lo dice la senatrice Cecilia D’elia, capogruppo del Pd nella Commissione Istruzione, università e ricerca.

“Solo per aver espresso perplessità si è parlato di guerra alle telematiche – dice ancora D’Elia – Noi crediamo invece che la diffusione di questi atenei, che in 10 anni hanno avuto un aumento delle iscrizioni del 293,9% registrando nel 2023 236.245 iscritti, sia un fenomeno cui guardare con grande attenzione, anche perché a sceglierle sono sempre di più giovanissimi subito dopo la maturità. E’ chiaro che non sono più corsi destinati a chi aveva lasciato gli studi da tempo. Ma i temi allora sono accreditamento, monitoraggio, standard di prestazione di atenei che hanno personale di ruolo ridotto, un rapporto docenti-studenti molto inferiore a quello delle università tradizionali e talvolta totale assenza di strutture di ricerca, cosa che impedisce di seguire anche l’attività formativa in modo corretto”.


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