«Ma a quale riforma dei porti pensa il centrodestra? Perché l`impressione è che ognuno vada un po` per la propria strada». Lui, Graziano Delrio, la riforma dei porti l`ha fatta sul serio, nel 2015, da ministro dei Trasporti, innovando nel profondo la portualità e traghettandola verso la sua nuova dimensione logistica. Di fronte ai pronunciamenti del governo di centrodestra di andare nuovamente a modificare quelle norme, Delrio, senatore Pd, non ha alcun pregiudizio. «Il tempo passa e capisco che si voglia intervenire su una materia che si modifica velocemente, anzi lo ritengo comprensibile. Ma ciò che davvero non capisco e a che tipo di riforma si pensi. Perché se ascolto Musumeci, Rixi e Tajani trovo tre dichiarazioni diverse una dall`altra». Il denominatore comune che spinge Delrio a dire no alle tesi del centrodestra è questo rimando ai porti da privatizzazione. «Se così fosse, sarebbe l`anarchia, il ritorno delle battaglie fra un porto e l`altro, esattamente quello che noi abbiamo cancellato facendo nascere i sistemi portuali».
Quindi, progetto da bocciare quello del governo Meloni, senatore Delrio?
«Intanto sarebbe interessante capire quale sia il progetto del governo in materia di porti. Perché sul fatto che siano un elemento essenziale dell`economia italiana, che valgono qualcosa come 400 miliardi di euro, dovremmo essere tutti d`accordo».
E quindi?
«Quindi proprio per questo servirebbe uno Stato che facesse lo Stato, con le idee chiare, in cui il ruolo del pubblico è ben coordinato, con una visione forte. Che è esattamente quello che manca».
E secondo lei qual è il motivo? Il governo Meloni ha fatto nascere anche il ministero del Mare…
«Appunto. Questo ministero affidato a Musumeci ha presentato un piano che mi pare sia sconfessato dalle parole di Tajani. E Rixi la pensa ancora in un altro modo».
Ma chi dovrebbe avere la titolarità?
«Dovrebbe essere il ministero del Mare che è senza portafoglio ma è in capo a Palazzo Chigi. In realtà mi sembra un pasticcio, con competenze differenti sparse fra ministeri e una realtà di fondo che è davanti ai nostri occhi».
Quale?
«Che una vera proposta ancora non c`è».
C`è però la volontà di cambiare la legge dei porti. È necessario?
«Guardi, noi abbiamo portato avanti un`idea di sistema del mare, facendo nascere autorità appunto di sistema portuale con una forte attività di programmazione. Posso capire che si possa intervenire ancora, ma se l`idea è quella avanzata da Tajani allora non ci siamo. Solo in Nuova Zelanda e in Gran Bretagna i porti sono privatizzati. In nessuna altra parte del mondo lo sono». Perché, secondo lei, quasi nessuno lo ha fatto?
«Perché questo modello privato non ha alcun senso. Le authority sono soggetti pubblici, e tali devono restare, a cui possiamo però dare più strumenti per renderli maggiormente efficienti. Ecco, da questo punto di vista credo sia giusto intervenire».
A che cosa sta pensando, in particolare?
«Non ho più incarichi sui temi portuali, seguo una materia che mi appassiona sempre, ci tengo a fare questa premessa. Detto questo, io credo che le autorità non possano essere equiparate a sistemi tipici del pubblico impiego. Credo sia giusto dare loro maggiore dinamismo, favorendo tempi brevi per le procedure. Diamo anche ai presidenti la possibilità di assumere personale in modo più flessibile. Insomma, non ingessiamole perché questi soggetti pubblici sono quotidianamente a confronto con il mercato e con tutti i soggetti privati».
Ai presidenti sono arrivati anche i soldi del Pnrr…
«Intanto mi lasci ricordare che quei soldi li abbiamo fatti arrivare noi attraverso il confronto con l`Europa. Ma anche la gestione di questi fondi che sono nelle disponibilità delle authority ci fanno appunto capire che è necessario dotare gli enti di maggiore flessibilità e snellezza».
La privatizzazione secondo alcuni poteva rappresentare una strada da seguire, proprio per questi motivi…
«La privatizzazione sarebbe uguale all`anarchia dei porti, torneremmo a schemi pre-riforma, quando c`erano le guerre fra i porti, Carrara contro Spezia, Savona contro Genova. Mancava proprio l`idea di fondo che noi abbiamo portato con la riforma di sistema-Paese. E questo modello è totalmente antieconomico. Non solo».
Che altro?
«Favorisce le spinte localistiche e individualistiche. In questo modo non permettiamo allo Stato di fare lo Stato. Invece bisogna essere rigorosi. Noi facemmo una selezione pubblica per titoli per nominare i presidenti dei porti. Ora sento dire che la scelta dev`essere affidata ai comuni o alle regioni. Ma attenzione perché il localismo può aprire a situazioni contrarie ai veri interessi della portualità».
Che ne pensa dell`idea avanzata dal viceministro Rixi di un soggetto centrale a cui rispondono le singole autorità?
«Anche noi avevamo messo a punto una strategia nazionale in cui avevamo individuato autorità portuali di interesse nazionale e porti di interesse regionali. Ma quello che io non riesco a vedere di questo governo è il disegno unitario. Detto questo, come spiegavo prima, posso capire che ci sia ancora più bisogno oggi di dare ai porti una struttura più dinamica, con forma di flessibilità e di dinamicità di mercato. Questo effettivamente farebbe il bene della portualità».


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