Non ha perso la speranza neppure dopo la sconfitta referendaria il senatore dem e presidente della commissione bicamerale sull’Immigrazione Graziano Delrio: sulla cittadinanza in Parlamento i voti ci sarebbero, se solo FI lo volesse.
Agevolare le pratiche per la cittadinanza è un tema che non interessa gli italiani? Il referendum è stato una delusione?
È stato una delusione, sì. Era difficile raggiungere il quorum, anche se la speranza ovviamente c’era, come nei casi delle grandi battaglie civili. Perché questa è una grande battaglia prima di tutto contro il potere ingiusto della burocrazia, che costringe le persone ad aspettare non 10 anni, ma 15 per ottenere la cittadinanza: c’è uno scarto enorme tra il diritto e la realtà. E una battaglia contro i pregiudizi. Il quesito ha riportato diversi “No”. Però avrebbe vinto il “Sì”. E comunque questo è il segno che quando i referendum hanno un obiettivo preciso, i cittadini dicono la loro. Certo, molto ha giocato la campagna referendaria impostata sui referendum del lavoro, che ha fatto passare in secondo piano la cittadinanza. Molti non hanno avuto gli elementi di conoscenza nemmeno sul fatto che appunto non è vero che sono 10 gli anni per ottenerla, ma sono molti di più, sul fatto che stiamo parlando di cittadini che sono qui, che lavorano, che studiano, che vivono insieme a noi e che pagano le tasse. E che non si semplificavano i criteri per ottenerla. Però io sono molto più preoccupato di un’altra cosa…
Ovvero?
Io ero presidente del Comitato che nel 2011 portò la legge di iniziativa popolare per lo Ius soli fino alla soglia dell’approvazione in Senato. Allora c’era molto consenso, anche nella società. E ricordo la profonda delusione di migliaia di ragazzi che attendevano il risultato, quando nel 2017 quella legge approvata dalla Camera finì per arenarsi. La stessa delusione che abbiamo dato a tanti cittadini, italiani di fatto, che speravano in un salto in avanti con il referendum.
C’è modo per riaccendere la speranza? Lei a ridosso della sconfitta del 9 giugno ha auspicato la ripresa di un dibattito in Parlamento con FI e le forze a favore. Lo crede possibile?
Sì, un Paese maturo come il nostro, una potenza industriale ed economica e anche democratica, non può discutere l’argomento immigrazione come se fossimo nell’800, con la paura, avendo sotto gli occhi solamente gli sbarchi. Ci sono 5 milioni di persone che sono già qua, 800mila bambini che frequentano le scuole ,che possono diventare italiani a tutti gli effetti e così, come è dimostrato, anche migliorare il loro curriculum scolastico, perché si sa che quando ottengono la cittadinanza questi bambini migliorano anche la performance scolastica. Noi dovremmo, quindi discutere in maniera ragionevole qual è l’interesse del Paese, approfittando della nuova apertura di Forza Italia. Spero che non sia un’apertura solo verbale, e che FI abbia il coraggio di confrontarsi. La nostra idea è molto più radicale sulla riforma, però siamo pronti a discutere, perché come dice anche la Conferenza episcopale italiana, chi si sente titolare di diritti si sente anche titolare di doveri, quindi ne guadagnerebbe il Paese. Il ministro Tajani deve fare questo atto di coraggio, per l’interesse del Paese. La scorsa estate FI si è molto esposta, poi tutto è rientrato dopo i no di Meloni e Salvini. Questo è il mio scetticismo, temo che i ricatti interni alla coalizione impediscano una discussione serena. Confido che si capisca che dare i diritti un po’ più rapidamente ai bambini non significa togliere nulla a noi. È lo stesso schema mentale che si ripropose nel 1946 quando si decise di dare il voto alle donne: gli uomini pensavano di togliere qualcosa a se stessi. In realtà hanno semplicemente fatto diventare l’Italia più matura e più grande. Oggi è interesse dell’Italia che gli ingressi siano regolari e i tempi più rapidi.
È lo scoglio di un Parlamento bloccato dall’interventismo del governo?
Le leggi le deve fare il Parlamento. Questo in una democrazia normale, poiché il Parlamento è espressione del popolo, non il Governo. Le leggi sui diritti civili vanno fatte non dal governo ma dal Parlamento, anche con maggioranze trasversali come avvenuto quando proposi l’Assegno Unico a sostegno delle famiglie. Comunque nel 2017 fu anche il M5s a bloccare la riforma al Senato tirandosi indietro.
Oggi sarebbe diverso?
Non do giudizi su chi la pensa diversamente, vorrei discutere però serenamente: se è vero che concedere la cittadinanza qualche anno prima porta via il benessere agli altri o svilisce il concetto di cittadinanza, vorrei discutere di questi dati di fatto. Parliamone, ma nella sede giusta, approfondendo, ascoltando i dati, gli esperti. Faccio un esempio: la dispersione scolastica dei bambini che non sono italiani ha livelli più alti di un bambino di origine straniera che è diventato italiano grazie al fatto che il padre ha acquisito la cittadinanza. Ed è interesse di tutti che questi bambini non stiano per le strade, magari diventando preda della criminalità. Anche nel Pd ci sono elettori che hanno avuto dubbi sul referendum. Ma la democrazia è bella perché si discute non perché si obbedisce alla paura.