«La dichiarazione del Consiglio presidenziale libico – dice il ministro della Difesa Roberta Pinotti – apre uno
spiraglio significativo che va sostenuto. Credo che l`azione delle nazioni europee possa dare una spinta: oggi i ministri degli Esteri di Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna si vedono a Parigi con John Kerry e domani si incontrano in sede di consiglio affari esteri Ue a Bruxelles. Nella dichiarazione c`è una richiesta precisa a tutte
le organizzazioni internazionali di interloquire solo con il nuovo governo. È un passaggio importante».
Quale potrebbe essere un primo passo della comunità internazionale?
«Il ministro Gentiloni e il collega francese Ayrault hanno proposto sanzioni per quelle fazioni libiche che creeranno
ostacoli al processo di formazione del governo e l`avvio immediato di un dialogo per definire le attività di supporto. Mi sembra il giusto segnale della precisa volontà di sostenere il percorso di ricomposizione politica in Libia».
La settimana scorsa è stata segnata da nuove fibrillazioni, alimentata anche da segnali di impazienza che venivano dagli Stati Uniti. Renzi a Venezia ha confermato che la linea italiana rimane quella di una missione subordinata alla precisa richiesta di un governo legittimo.
«Non potrebbe essere altrimenti. È l`unica via percorribile da noi sempre proposta ed è anche l`unica accettata dagli alleati. In alcuni Paesi della coalizione c`è chi spinge per un`accelerazione, ma la linea di fondo non è mai stata messa in discussione. La necessità di maggiore determinazione ha sempre riguardato l`azione contro il terrorismo, non quella di una missione strutturata, che deve per forza rispettare tutti i passaggi essenziali. Come
ha detto il presidente del Consiglio, il tempo non è infinito ed è giusto farlo presente ai libici, poiché l`espansione
dell`Isis in Libia, al momento contenuta, può diventare molto preoccupante. Però al di là del fatto che dobbiamo rimanere vigili e agire con determinazione per fermare il pericolo in presenza di rischi immediati, l`eventuale missione internazionale a sostegno della stabilizzazione della Libia è sempre stata immaginata come un intervento richiesto dal governo libico. Martedì, nell`ambito delle iniziative promosse dal governo italiano per favorire la stabilizzazione del Nord-Africa, si terrà a Roma una conferenza tra militari degli oltre 30 Paesi e organizzazioni interessati a iniziative di sostegno. Fa seguito agli incontri analoghi svoltisi in dicembre e gennaio
alla Farnesina».
Lei insiste sul termine eventuale. Ma i piani operativi sono pronti.
«Gli Stati maggiori devono sempre ipotizzare scenari ed esser pronti ai vari aspetti di una missione: addestramento, protezione del governo e dei siti strategici, invio di consiglieri militari. E sulla base di questi
individuano i numeri e le dimensioni necessarie. Ma per l`Italia tutto rimane subordinato a tre condizioni: legittimità internazionale, costituzione di un governo e sua richiesta, approvazione del nostro Parlamento».
Lei ha accennato ai numeri. La scorsa settimana l`ambasciatore americano in Italia ha tirato fuori la cifra di 5 mila militari italiani da inviare in Libia, anche se poi ha corretto il tiro. Quali sono i suoi numeri?
«Non c`è risposta precisa perché tutto dipende dal tipo di supporto che verrà chiesto alla coalizione internazionale. Una cosa è se riguarda solo l`addestramento, un`altra se comprende anche la sorveglianza di siti sensibili e altre attività. Il fatto che ora sia aumentato il numero delle nazioni pronte a dare una mano farà variare anche il nostro contributo. Nessuna confusione quindi, semmai una flessibilità e capacità di adeguare la risposta alle effettive necessità del governo libico».
Una cosa diversa dalla missione di stabilizzazione sono i raid contro le postazioni jihadiste, come quello recente degli americani a Sabratha, che lo stesso Renzi ha definito un dato di fatto e che si configurano come un piano B, nel caso di stallo del processo politico. In questo tipo di missioni l`Italia prevede un ruolo?
«Il cosiddetto piano B non è tale, ma corre in parallelo ed ha una programmazione militare diversa dalla ricostruzione della sicurezza in Libia. Interventi di legittima difesa mirati sono possibili e in quel caso l`Italia saprà come agire insieme agli alleati, per evitare rischi sul proprio territorio. Nel momento in cui dovessimo identificare pericoli decideremmo le soluzioni migliori per eliminarli. Ma non ci sono soluzioni precostituite».
In Siria si apre uno spiraglio, la tregua tiene.
«In fondo pochi ci avevano scommesso. Il dialogo fra USA e Russia ha consentito una tenuta del cessate il fuoco. Ci sono segnali incoraggianti di una piccola ripresa di vita civile. Domani riprendono i proximity talks a Ginevra, sia pure in condizioni non facili. E uno sviluppo che l`Italia auspicava da tempo».
A che punto è la concretizzazione dei due nostri nuovi impegni nell`area irachena, i130 militari con elicotteri per le operazioni di ricerca e soccorso e i 50o a protezione della diga di Mosul?
«I 130 militari saranno basati a Erbil e contiamo che siano pronti per le prossime settimane. È un`attività delicata: recuperare soldati o personale civile feriti in zone di conflittocomporta capacità sofisticata sul piano medico e militare, che noi possediamo. Per Mosul, siamo in contatto col governo di Bagdad per stabilire le modalità. Ma è importante dire che sarà un`azione in pieno raccordo con le attività della coalizione anti-Daesh. Immagino
che saremo lì prima dell`estate.La ditta italiana che si è aggiudicata l`appalto inizierà presto ad allestire il cantiere, ci vorrà qualche tempo prima che sia operativo. Voglio anche ricordare che la diga è in territorio controllato dal governo iracheno, anche se la città di Mosul è sotto il controllo dell`Isis. Ma noi ci auguriamo che entro l`estate possa già essere stata liberata».


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