Dall`incisione all`escissione parziale o totale della clitoride, alla cucitura della vulva. Questa pratica dalle dimensioni enormi e dagli effetti crudeli riguarda, nel mondo, circa 200 milioni di donne e bambine che vivono in 29 paesi africani e dell`Asia sud-occidentale. Ma, negli ultimi anni, si registrano casi anche in Europa, Stati Uniti e Canada, soprattutto tra gli immigrati provenienti dalle aree in cui questa usanza primitiva risulta ancora diffusa. Si tratta di un fenomeno che colpisce bambine tra i 4 e i 14 anni.
Dall`incisione all`escissione parziale o totale della clitoride, alla cucitura della vulva. Questa pratica dalle dimensioni enormi e dagli effetti crudeli riguarda, nel mondo, circa 200 milioni di donne e bambine che vivono in 29 Paesi africani e dell`Asia sud-occidentale. Ma, negli ultimi anni, si registrano casi anche in Europa, Stati Uniti e Canada, soprattutto tra gli immigrati provenienti dalle aree in cui questa usanza primitiva risulta ancora diffusa. Si tratta di un fenomeno che colpisce bambine tra i 4 e i 14 anni. Lunedì scorso si è celebrata la giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, anticipata a Roma da un`importante conferenza internazionale promossa da Non c`è pace senza giustizia. Il senso di queste iniziative e la loro urgenza appaiono inequivocabili. Le mutilazioni genitali femminili costituiscono una tra le più efferate e dispotiche manifestazioni della volontà di potere patriarcale sul corpo delle donne. E quella stessa pretesa di controllo rappresenta una delle basi essenziali dei regimi autoritari e delle dittature. Ma una traccia non insignificante di quel dispositivo sopravvive nei sistemi democratici e compromette la qualità dei rapporti sociali e di quelli tra i generi. Ciò avviene sul corpo delle donne perché è qui che la questione essenziale della procreazione ha il suo cuore: ed è qui che si sviluppa la dinamica demografica, così cruciale per la stabilità delle comunità politiche. Dunque, se assumiamo questo come punto di partenza, immediatamente possiamo dedurre che il sottoporre o il sottrarre il corpo femminile al dominio patriarcale e a quello del potere dispotico si configura sempre come un passaggio decisivo della lotta per l`affermazione della democrazia. Per questo dico che la mobilitazione che ha portato ben diciotto Paesi del continente africano a dotarsi di una normativa che interdice e sanziona quella pratica ha un significato altamente politico. Al suo interno si incontrano e si intrecciano due processi fondamentali dello sviluppo della storia umana che, ancora una volta, hanno le donne come protagoniste. La lotta per l`emancipazione sociale – come superamento dei vincoli del servaggio economico e della gerarchia dei ruoli e come critica del pregiudizio e del senso comune – e, allo stesso tempo, la lotta per la liberazione, intesa nel suo significato pieno di affermazione della soggettività. E questo ha come sua conseguenza primaria la capacità di auto determinazione, e per citare ancora una volta Jhon Stuart Mill «la sovranità su sé stessi e sul proprio corpo».
Non è un caso che tutte le grandi culture indicano come la sede fondamentale della dignità della persona e dei diritti che la presidiano, il corpo in quanto organismo fisico o – come direbbe Primo Levi – materia umana, nella sua intangibilità e inviolabilità a opera di altri e del potere. Eppure sembra che un tale combinarsi di processi sociali e mutamenti culturali sfugga alla percezione delle opinioni pubbliche occidentali, che ignorano come questa battaglia – proprio una lotta all`ultimo sangue – abbia un significato tanto dirompente
per lo sviluppo delle democrazie, e in particolare per la crescita culturale e morale delle nuove generazioni in quei paesi. Quanti italiani, infatti, conoscono la mobilitazione promossa negli ultimi vent`anni dai radicali e da Emma Bonino contro le mutilazioni genitali femminili? Indubbiamente pochissimi. Eppure quella la lotta ha portato alla risoluzione dell`Onu per la messa al bando universale di questa pratica (2012) e a molti pronunciamenti istituzionali e dichiarazioni autorevoli nelle nazioni interessate. E se pure questa mobilitazione fosse conosciuta più di quanto oggi è, probabilmente essa verrebbe considerata qualcosa di simile a una nobile azione filantropica o al più a una classica iniziativa umanitaria. Mentre si tratta, palesemente, di una grande azione politica, dagli effetti politici, e che si colloca in una prospettiva politica internazionale. Cos`altro è, infatti, la politica se non la capacità di muovere
dalle sofferenze delle persone in carne e ossa? E di quale altro indicatore di efficacia politica disponiamo se non quello della concreta misurazione della riduzione del dolore di centinaia di migliaia di bambine?


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