Il Coronavirus ha reso chiaro a tutti che uomini e donne nella malattia non sono uguali. Studiare queste differenze è compito della Medicina di Genere. Come è ormai noto la medicina di genere, il cui obiettivo è comprendere i meccanismi attraverso i quali le differenze legate al genere agiscono sullo stato di salute e sull’insorgenza e il decorso di molte malattie e di cui se ne parla ormai dagli anni novanta, ha creato una profonda evoluzione della medicina “tradizionale” attraverso un approccio innovativo mirato a studiare l’impatto del genere e di tutte le variabili che lo caratterizzano (biologiche, ambientali, culturali e socioeconomiche) sulla fisiologia, sulla fisiopatologia e sulle caratteristiche cliniche delle malattie.

Gli uomini e le donne, infatti, pur essendo soggetti alle medesime patologie, presentano sintomi, progressione di malattie e risposta ai trattamenti molto diversi tra loro. Da qui la necessità di porre particolare attenzione allo studio del genere inserendo questa “nuova” dimensione, non una nuova branca, della medicina in tutte le aree mediche. In quest’ottica, quindi, lo studio sulla salute della donna non è più circoscritto alle patologie esclusivamente femminili che colpiscono mammella, utero e ovaie, ma rientra nell’ambito della medicina genere-specifica.

Solo procedendo in questa direzione sarà possibile garantire a ogni individuo, maschio o femmina, l’appropriatezza terapeutica, rafforzando ulteriormente il concetto di “centralità del paziente” e di “personalizzazione delle terapie”. Questo campo innovativo della ricerca biomedica, relativamente nuovo per l’Italia, rappresenta una nuova prospettiva per il futuro della salute e deve essere incluso tra i parametri indispensabili ed essenziali dell’attività clinica e della programmazione e organizzazione dell’offerta sanitaria del nostro Paese.

La medicina di genere è, oggi, un argomento molto “caldo”.

È per questo che numerose Organizzazioni e Istituzioni dedicano all’argomento progetti di ricerca e finanziamenti e la letteratura sottolinea il bisogno di concentrare gli studi in questo ambito, per favorire una corretta informazione volta a migliorare le conoscenze riguardanti le diversità.

Nonostante le consolidate evidenze scientifiche, nell’ambito della formazione sanitaria questa innovativa disciplina medica non è stata finora inserita nei programmi dei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia e nelle Scuole di specializzazione, quindi, senza un orientamento di genere e il riconoscimento di questo essenziale ramo del sapere medico, di una coscienza culturale e scientifica delle implicazioni che tale tema implica per la politica sanitaria nazionale e internazionale, la politica della salute può risultare metodologicamente imprecisa e persino discriminatoria.

La pandemia richiama la necessità di attuare appieno l’art. 1 e l’art.3 della legge 3/2018 sulla medicina di genere che propone ricerca farmacologica e procedure cliniche attente alle differenze di genere.

Nonostante l’approvazione nel giugno 2019 del Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, previsto dal comma 3 dell’art.3 della legge, Piano che si propone di fornire un indirizzo coordinato e sostenibile per la diffusione della Medicina di Genere mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie, che, nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura, tengano conto delle differenze derivanti dal genere, al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in modo omogeneo sul territorio nazionale, siano rimasti purtroppo solo alle annunciazioni e non siamo entrati nel merito alla sua reale applicazione.

Ora più che mai, difronte alle evidenze riscontrate durante la pandemia, è necessario riprendere il Piano, analizzarlo ed attuarlo. Ed è arrivato anche il momento opportuno per dare attuazione al comma 4 della medesima legge che prevede un “Piano formativo nazionale per la medicina di genere”, predisposto di concerto tra il Ministero della Salute e il Ministero dell’Università, che deve garantire la conoscenza e l’applicazione dell’orientamento alle differenze di genere nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura.

Le donne stanno reagendo in modo diverso al virus e ai medicinali, ed è evidente che ci sia una differenza dovuta anche al ricoprire ruoli tradizionali di cura. E’ quindi ora di avviare, come prescrive la legge in vigore, la ricerca e la sperimentazione di genere per i farmaci e lo studio dell’impatto sul sesso delle diverse patologie, non dimenticando quelle infettive come il Coronavirus.

Questa enorme sciagura può lasciarci in eredità una lezione per progredire verso una effettiva personalizzazione della cura attenta al genere, anche in momenti di emergenza e pandemia.


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