Joe Biden è eletto presidente, ottenendo il più grande risultato numerico della storia degli Stati Uniti: sono più di 72 milioni i cittadini che hanno deciso di dare il proprio voto al democratico. Un risultato assai significativo che dimostra come una candidatura, ritenuta da molti opaca e priva di carisma, abbia invece saputo raccogliere molti consensi tra chi spera nella normalizzazione di un Paese lacerato da quattro anni della più divisiva presidenza che l’America ricordi.

Non è un caso che nemmeno nelle ultime ore, Trump non abbia abbandonato la cifra distintiva del suo mandato, portando al massimo dello stress il sistema e arrivando a mettere in discussione le basi su cui si regge la democrazia americana. In questa incapacità di gestire la sconfitta vi è certamente un tratto psicologico legato a un profondo narcisismo e a un’immagine parossistica di sé, ma anche la tattica e la chiave con cui ha affrontato tutto il suo incarico: il richiamo profondo e identitario a un’America di cui non è stato semplicemente il Presidente ma quasi un leader religioso.

L’America rurale dell’uomo bianco che ha il diritto di imbracciare un fucile, si contrappone a quella delle città multiculturali, quella che ha sofferto più di altri la globalizzazione, che guarda con rabbia e sfiducia al futuro; l’America che ha meno risorse e meno istruzione. Trump è diventato il baluardo identitario di questo universo che invoca un ritorno al passato, alla chiusura, alla protezione. E lo è diventato non solo oltreoceano ma in gran parte del mondo, rappresentando per molti il punto di riferimento contro il progressismo e il mondialismo considerati come i mali peggiori in una società in disfacimento. Trump è stato il primo a soffiare e cavalcare la paura, indicando dei nemici e riproponendo come tratto distintivo culturale la triade Dio, Patria e Famiglia.

L’altra America dei democratici non è stata capace di trovare ed elaborare parole forti e un atteggiamento politico da contrapporre a questo messaggio semplice e dirompente. Si tratta di tornare a parlare di riduzione della precarietà, istruzione, sicurezza sociale, ricominciando a battersi per le proprie idee, senza vergognarsi di difendere i diritti delle minoranze, la diversità, la convivenza pacifica, il multilateralismo. E la sconfitta di Trump rappresenta un’occasione storica per rimettere al centro un modello alternativo di società che si batta per ridurre le disuguaglianze. Per una società aperta e solidale.

Trump è stato in questi anni il megafono più potente del sovranismo mondiale che è stato un programma politico ma anche culturale: la spregiudicatezza, il cinismo, la sfrontatezza, la brutalità del linguaggio, la ridicolizzazione di chi la pensa diversamente, il culto dell’uomo forte, il razzismo, la supremazia bianca, il disprezzo per le minoranze etniche, gli immigrati, i gay e le donne, il disgusto nei confronti dello Stato e delle Istituzioni.

Per questo la vittoria di Biden può rappresentare una profonda e vitale boccata di ossigeno per arginare questo Far West politico e culturale che si fonda su uno stereotipo immaginario di chi crede di potersi difendere da solo e che basti un uomo forte per la salvezza. Allora la pacatezza e la moderazione del candidato dem, Sleepy Joe come lo definisce Trump in modo sprezzante, sono un potente antidoto contro il veleno instillato nelle vene di un’ America stanca, scontenta, devastata da una crisi sanitaria imperdonabilmente negata, lacerata, che ha bisogno di tornare a svolgere il suo ruolo nel mondo, ritrovando sé stessa e la sua vera e profonda identità.

Biden sembra essere l’uomo perfetto per indicare la strada della normalizzazione. Oggi non è il momento di rottura e innovazione. Serve una tregua a partire dallo scontro razziale che ha infiammato il Paese negli ultimi mesi: l’esatto contrario di ciò che ha provato a fare Trump, convinto che nella radicalizzazioni delle posizioni e nello scontro permanente, vi fosse l’unica possibilità per tornare di nuovo a vincere. E, invece, pare trionferà Biden con un messaggio esattamente opposto: calmiamoci e torniamo a parlare con una sola voce. L’America, nonostante le differenze culturali, geografiche, economiche, è una sola entità che ha nel suo ruolo strategico nel mondo la sua forza. Un messaggio rassicurante, efficiente, razionale, empatico e per nulla evocativo, orgoglioso quanto basta. Biden dovrà guidare questa transizione, traghettando gli Stati Unti fuori dal Luna Park horror trumpiano, restituendo serenità, etica, dignità. Biden potrà essere la cura migliore e più efficace per un Paese malato che ha bisogno di riposo, moderazione e tregua.

Nel frattempo, la lezione che arriva ai partiti di sinistra è che si vince aprendo, allargando, tenendo insieme il progressivismo liberale e sociale, il riformismo, con programmi più radicali ma senza ripiegare su posizioni minoritarie e poco attuali. Sanità, ambiente, scuola, lavoro, welfare sono i pilastri su cui la sinistra deve ricostruire il patto sociale. Mentre, dopo quattro anni dalla Brexit al trionfo di Trump, il messaggio che arriva ai sovranisti mondiali è che non esistono soluzioni semplici per problemi complessi e che chiudersi non risolve nessun problema ma acuisce solo la rabbia e il disagio: cosa che può andare bene a chi pensa di poter governare sulle macerie ma non a chi spera di poter rinascere.


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