Stranieri e stereotipi
L`Istat ha reso noti, organizzandoli in un`area molto ordinata del loro sito, i risultati del censimento 2011 riguardanti la popolazione straniera in Italia. Si tratta di informazioni fondamentali non solo per chi svolge un lavoro di ricerca su questo argomento ma anche per chi, questo stesso tema, lo affronta a livello politico o giornalistico.
Una risorsa che inquadra l`evoluzione del fenomeno negli ultimi anni, da quando, cioè, si parlava di appena qualche centinaia di migliaia di persone fino ad arrivare ad oggi che, quella popolazione, ha superato i quattro milioni. Nel corso dell`ultimo ventennio l`atteggiamento degli italiani nei confronti degli stranieri è sicuramente mutato.
L`arrivo di persone provenienti da altri Paesi inizialmente fu avvertita con curiosità ma anche con distanza. La persona «diversa» perché non risultasse una minaccia doveva essere etichettata. E così si è dato spazio ai luoghi comuni, giocati sull`accentuazione di aspetti tipici degli immigrati di vent`anni fa. Uno dei tanti era quello che voleva che gli stranieri fossero tutti venditori ambulanti. Cosa non vera perché, come dimostra l`introduzione della legge Martelli (la 39 del `90), la presenza degli ambulanti era significativa ma non era l`unica categoria di lavoratori presente. Questo, però, portò addirittura alla riduzione di tutte le persone straniere alla denominazione di Vu cumprà, appellativo che, poi, si trasformò in Vu lavà (i lavavetri all`incroci stradali) fino a Vu stuprà (criminali stranieri). Era chiaramente percepibile, in quelle definizioni, un intento di denigrazione o, per lo meno, di netta presa di distanza: tanto più perché, come ogni formula generica e omologante, enfatizzava il carattere anonimo e indistinto di coloro ai quali veniva attribuita.
Un atteggiamento che si è in parte affievolito a causa dell`acquistata consuetudine con il fenomeno: aumenta il numero di stranieri e cresce la possibilità che uno di questi sia il vicino di casa. Ciò ha fatto sì che l`immigrato venisse conosciuto e «normalizzato». Questi micro meccanismi di avvicinamento possono essere letti, seppure con molta generosità, come dei tentativi di integrazione.
Tutto ciò non ha, però, avuto una traduzione adeguata in termini di politiche sociali e culturali e, di certo, gli slogan di molti partiti politici o il linguaggio utilizzato da una parte dei giornali non hanno favorito la diminuzione di atteggiamenti xenofobi. Soprattutto in alcuni casi, infatti, si è trattato di manifestazioni tese alla chiusura più che all`incontro e alla relazione. Sono un esempio la legge Bossi-Fini e il successivo «pacchetto sicurezza» (2009) in cui l`immigrazione è esclusivamente trattata come una questione di ordine pubblico.
Ecco il motivo per cui il motto di questi tempi dev`essere: conoscere conoscere conoscere.