Avendo non poche riserve sull’operato di questo governo, l’ex ministro della Difesa, Roberta Pinotti, si affida al Presidente Mattarella e alle sue parole per ricevere adeguate rassicurazioni sulle intese che l’Italia sta firmando con la Cina. La senatrice del Partito Democratico punta il dito contro i frequenti litigi in seno alla maggioranza su tutti i dossier strategici.

Senatrice, Un accordo che la lascia tranquilla sul fronte della nostra sicurezza nazionale?
Il Capo dello Stato ha indicato tre pilastri su cui dobbiamo costruire questo rapporto con Pechino: reciprocità, trasparenza e rispetto delle regole. Un intervento, quello del nostro presidente della Repubblica, che ha posto l’accento anche sul tema dei diritti, una questione che all’Italia deve stare sempre a cuore soprattutto quando ci si confronta con Paesi che hanno differente sensibilità, storia e cultura.
È evidente che per Pechino questo non è soltanto un accordo di natura commerciale, ma anche una strategia geopolitica per penetrare in Europa. Gli Usa sono piuttosto allarmati da questa apertura.
Il Presidente Xi Jinping è una persona troppo intelligente per non sapere che come Paese nell’alveo della Nato abbiamo degli obblighi imposti dalle nostre alleanze. Non so se il nostro governo sia riuscito ad esplicitarlo in modo inequivocabile ai nostri alleati: sembra infatti che gli Usa abbiamo sentito l’esigenza di sottolineare al nostro esecutivo quali attenzioni debbano essere prestate ai molti punti delicati che riguardano l’accordo. La mancanza di un’adeguata chiarezza ha allarmato anche l’UE. Non si tratta di mettere in discussione che l’Italia possa incrementare gli scambi commerciali con la Cina, ma quando da Paese fondatore della Ue e membro del G7 fai un accordo così ampio, è necessario preparare il terreno chiarendo le intenzioni politiche poste in essere, condividendo con gli altri partner europei e del Patto Atlantico.
Troppa confusione?
Guardi, in queste settimane abbiamo assistito ad un balletto all’interno della maggioranza di governo piuttosto imbarazzante. Quando si interloquisce con un altro Paese, ancor più con una grande potenza come la Cina, non lo si può fare in modo dilettantesco. L’approccio a questo memorandum non è stato molto ordinato, per usare un eufemismo. Da un lato il Movimento 5 Stelle, che con Di Maio ha cavalcato strenuamente questo accordo lavorava su un testo che la Lega, che nel frattempo si è scoperta filo-atlantista e preoccupata dell’umore degli Usa, diceva di non conoscere. Tutto questo ad una settimana dall’arrivo del presidente cinese, non proprio una bella figura a livello internazionale.
Il tutto prima prevedendo un testo e poi annunciando di rinforzare la golden power.
In Parlamento il testo non è arrivato ma a quanto si è capito nemmeno all’interno della maggioranza c’è stata chiarezza. C’erano esponenti leghisti che lamentavano di non conoscere il contenuto del documento anche se un loro sottosegretario, Michele Geraci, avrebbe dovuto essere a parte del dossier. Alla fine è stato scongiurato che nell’accordo ci fossero richiami a temi sensibili come il 5G e le Telecomunicazioni.
Più opportunità o pericoli per l’Italia da questa intesa?
Se i tre elementi basilari richiamati dal presidente Mattarella saranno rispettati non c’è da preoccuparsi: con reciprocità, trasparenza, e rispetto delle regole possono nascere opportunità. Ne è un esempio Genova, la mia città, dove abbiamo avuto investimenti cinesi in Ansaldo Energia per il 40 per cento del capitale. Ma in quella trattativa era ben chiaro che la maggioranza dovesse rimanere in capo all’Italia e che dovesse essere difeso il lavoro e il know-how sensibile. È fondamentale avere una precisa strategia.
A cosa si riferisce in particolare?
Come ho già detto ci sono stati messaggi contradditori: durante la visita di Di Maio e Tria in Cina l’affermazione dell’esigenza di consistenti investimenti può aver preoccupato gli Stati Uniti che possono temere eccessive dipendenze di un loro alleato. Inoltre, l’indirizzo di questo governo è stato ondivago. Ad inizio legislatura i leghisti erano convintamente pro Putin, nelle ultime settimane si sono scoperti filo-americani. I 5 Stelle la scorsa legislatura hanno presentato un disegno legge per far uscire l’Italia dalla Nato, poi appena prima delle elezioni hanno virato definendosi atlantisti. Gli esempi sono molti: dall’annunciato ritiro delle nostre truppe dall’Afghanistan non concordato con gli alleati fino alle posizioni avute sul Venezuela. Sono questioni su cui si è registrata preoccupazione e sconcerto: mai, dal dopoguerra ad oggi, qualsiasi fosse il governo al potere, è venuto meno il chiaro riferimento euro-atlantico dell’Italia.
L’incontro tra Conte e Macron non sembra aver portato benefici. Il presidente francese ha attaccato sia l’Italia che la Cina.
È un rapporto che deve essere ricomposto. Il richiamo dell’ambasciatore francese è stato l’apice della crisi e l’intervento del presidente Mattarella è stato anche in questa situazione provvidenziale. Anche la posizione italiana sulla Tav in Francia è considerata incomprensibile. Vedono una forza di governo come la Lega spingere sull’acceleratore e l’altra che dice che non si farà mai. Stiamo venendo meno ad accordi internazionali sottoscritti. Questo è un governo che dice di essere sovranista, ma non si possono fare gli interessi nazionali senza avere buoni rapporti con Paesi con cui c’è un rapporto di reciprocità e di forti scambi anche economici. La Francia ha rinnovato ad Aquisgrana il trattato dell’Eliseo con la Germania. Al Bilaterale di Lione, quando eravamo ancora al Governo, si era proposto un analogo patto tra Francia e Italia che avrebbe preso il nome di trattato del Quirinale, per rilanciare un mutuo scambio nelle nostre relazioni bilaterali. Qualcuno ci sta lavorando?


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