Signora Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento sulle unioni civili in dirittura di arrivo è un atto dovuto al cui compimento siamo stati richiamati dalla Corte di Strasburgo, e giunge in grave ritardo in una realtà sociale in profonda trasformazione. Non sarebbero tollerabili rinvii o affossamenti di un provvedimento atteso da troppo tempo e di cui il Paese ha bisogno per compiere un passo di civiltà.

Dobbiamo però prevedere misure di accompagnamento al processo di cambiamento, e una riflessione fra giovani e meno giovani per favorire questa importante fase evolutiva della democrazia del Paese. Le misure di accompagnamento necessarie mi hanno indotto a presentare alcuni ordini del giorno sulla formazione.

Il Paese reale viene prima del Paese legale; i costumi e le abitudini anticipano le regole, ma l’eccessiva abbuffata mediatica e il caricamento dei toni all’interno del dibattito sulla stepchild adoption non hanno però giovato allo sviluppo di una discussione che doveva essere più serena e soprattutto più obiettiva. Invece di innalzare muri, andava innalzato il livello del dialogo, legittimando il dubbio su alcune criticità. Non ho condiviso le piazze urlanti per i pro né quelle per i contro: avrei preferito una piazza del dialogo.

Devo rendere atto che all’interno del Gruppo del Partito Democratico la discussione è stata pacata e caratterizzata da uno spirito aperto e democratico, come è nel nostro stile. All’esterno si è ecceduto con qualche bolla mediatica di troppo sul pensiero critico, con qualche etichetta demagogica appiccicata da qualche media a posizioni della cosiddetta minoranza, bollata come cattodem, come se si trattasse di una guerra di religione.

Le osservazioni sono venute – voglio sottolinearlo – dal mondo cattolico, da quello laico, da quello femminista, da tanti mondi, da chi si è posto legittimi interrogativi, e non sulle unioni civili (scontate), ma sulla stepchild adoption, sulla base del delicato tema della costruzioni dell’identità adolescenziale, su quello della maternità surrogata o gestazione per altri, ponendosi il legittimo interrogativo sull’impegno della donna a rinunciare al neonato e a consegnarlo al committente senza rivendicarne la maternità. Aspetti che andavano ascoltati con rispetto e impropriamente etichettati.

Nel nostro Paese il ricorso alla maternità surrogata – come è stato ricordato da vari colleghi prima di me – è vietato e la sua pratica è punita severamente. La condanna della maternità surrogata costituisce una regola fondamentale nel nostro sistema giuridico a garanzia, nella specifico, della dignità umana e, quindi, perché richiamarla nel dibattito se vietata dall’ordinamento? Al «che c’entra la surrogacy con la stepchild adoption» rispondo che può c’entrare in quanto praticabile all’estero. Se vietata in Francia, in Germania e in Italia, è ammessa con diverse modalità nel Regno Unito, in Grecia, Ucraina, Russia, in India, in alcuni Stati degli Usa, in Belgio, Irlanda, Paese Bassi e Canada. Grazie all’emendamento che abbiamo presentato si è solo cercato di rendere più rigorosi i controlli; dare maggior attenzione e disincentivare i cittadini italiani, anche se potevano pensare di realizzare all’estero il progetto di un figlio. Non possiamo permetterci di ignorare che la maternità per conto terzi viola i diritti altrui e nel testo degli emendamenti ci sono forti misure disincentivanti e di controllo. Non si possono eludere fondamenti della psicologia; rimuovere conoscenze scientifiche, bypassare la delicatezza dei percorsi di gestazione profondi, di una madre naturale. Né si può ignorare che il cosiddetto dialogo incrociato (cross talking) avviene nel rapporto materno-fetale. Non si può neanche ignorare che alla nascita il bambino, quantunque donato, porta in sé un patrimonio emozionale e sensoriale, appreso dalla madre, che risente delle sue emozioni, del suo stato d’animo, e del suo benessere. Perché non è lecito che anche la politica si interroghi su tutto ciò? La legge deve tutelare tutti, in primis i diritti negati di chi non parla, della donna e dei bambini.

Ebbene, anche la nuova teoria del dono e della surrogazione altruistica è un teorema e, in realtà, un sofisma, un ragionamento capzioso, dietro il quale si nascondano il più delle volte, non sempre, realtà di donne emarginate. Ciò avviene in Paesi depressi, ma anche nei Paesi dell’opulenza.

È giusto quindi raccogliere questi grandi temi? Sì, è giusto il pensiero plurale, non quello singolare.

Vi è un principio di cautela e di attenzione alla centralità del bambino e dell’adolescente, alla costruzione del processo identitario, ad una maggior tutela della donna alla base delle nostre proposte. Ecco perché proponiamo il concetto dell’affido rafforzato. Per questo gli emendamenti sono misure di garanzia, di cautela e di attenzione a diritti che vanno contemperati bene.

Esprimo massimo sostegno alla Sylviane Agacinski, filosofa francese che ha aderito fin da subito alla «Carta di Parigi». Si è fatta promotrice con altre associazioni delle assise di Parigi, con il supporto della vice presidente dell’Assemblea nazionale francese, Laurence Dumont. Proprio oggi, guarda caso, questa assise denuncia l’utilizzo degli esseri umani, il cui valore intrinseco è cancellato a favore del valore di uso e del valore di scambio. Quindi, questo utero in affitto non lo vogliamo e spero non lo voglia nessuno trasversalmente. Bene, quindi, alla firma della Carta per l’abolizione universale della maternità surrogata. Anche se migliorabile, esprimo assoluto sostegno al testo sulle unioni civili, un passo di civiltà che non può comunque attendere. (Applausi dal Gruppo PD).


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