NON CI SARANNO SCISSIONI. Il Partito Democratico non è nato per dare nuova casa a gruppi dirigenti che non riuscivano a vincere da soli, ma perché al paese serviva la casa dei riformisti e degli innovatori. Negli ultimi giorni abbiamo dato pessima prova di noi, abbiamo mostrato all’Italia egoismi, ipocrisie, tradimenti, abbiamo rischiato di gettare via la fatica, la passione, la dedizione, la fiducia di tante e tanti. Ma il Pd non siamo solo noi. Il Pd sono gli iscritti, i militanti, i cittadini elettori per conto dei quali agiamo. Come quelli che ho incontrato domenica 21 aprile, al circolo San Bartolo a Cintoia a Firenze. Nonostante una certa stanchezza, lo stress, la delusione e, perché no, la rabbia per quanto accaduto nel Pd tra giovedì e sabato, non avrei mai rinunciato al rispetto dell’impegno preso di partecipare all’iniziativa di tesseramento.
Ero sollevata di aver votato ed eletto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cui dovremo a lungo dire grazie, ma sul treno che mi conduceva a Firenze, interrogandomi su cosa avrei trovato, sapevo che mi sarei confrontata con la stessa rabbia, giustificata, della nostra gente, ma temevo, ancor di più, la rassegnazione, l’abbandono il «non c’è più niente da fare».
Poi ho incontrato uno dopo l’altro i democratici del circolo. Uno di loro che gentilmente mi aspettava in stazione, mi ha raccontato delle lettere ricevute, di protesta sì, ma anche di sollecitazione alla discussione su cosa davvero fosse successo e su come rilanciare il partito. E poi, arrivata al circolo, in attesa di cominciare, ho trovato una giovane con gli occhi pieni di lacrime e ho provato a confortarla parlandole delle lacrime che hanno riempito anche i miei di occhi e di altri che partecipavano all’assemblea quel 19 sera al Capranica, ascoltando Bersani, dopo che 101 democratici avevano tradito a sangue freddo Romano Prodi e dopo che il giorno prima analoga situazione si era determinata sul voto a Franco Marini. Al circolo c’erano democratiche e democratici offesi, umiliati, traditi nella fiducia che ci avevano concesso. Ma la cosa straordinaria era che i loro animi fossero rivolti al futuro.
La sala si è poi riempita, abbiamo discusso e ragionato ed in effetti c’era rabbia, c’era delusione, c’era dolore, c’era smarrimento. Ma, per fortuna, quel che temevo di più non c’era affatto, anzi. C’era anche speranza, si ascoltava e respirava quella convinzione che il Pd «ci» soprawiverà. Si, saprà sopravvivere anche alle miserie di alcuni. Sbagliavo, quindi, a temere, a non riporre fiducia nell’intelligenza e nella generosità del corpo vero del nostro partito, forse perché troppo impressionata dalle immagini di quella donna che bruciava la tessera. Pensate, due compagni sono arrivati ed hanno rinnovato la tessera dopo molti anni. Mi sono quasi commossa. Tornano ad aiutare il partito nel momento in cui lo vedono in difficoltà.
Quelle democratiche e quei democratici del Circolo San Bartolo a Cintoia ci dicono che non hanno alcuna intenzione di arrendersi. E che questa ferma volontà prescinde, meglio essere chiari, dai gruppi dirigenti che sono e devono sempre essere sostituibili, ma si poggia sul progetto originario del Partito democratico. Incontrare gli iscritti e i militanti mi ha convinta ancor di più che è da lì che dobbiamo ripartire. Che la vitale necessità di riflessione su questi giorni – ma anche sui mesi che abbiamo alle spalle, dalla vittoria di Bersani alle primarie, dall’utilizzo delle stesse per la scelta dei parlamentari intese come l’unica risposta alla crisi di rappresentanza dei partiti, fino all’intensità, l’efficacia e il tasso di coinvolgimento reale di tutto il Partito nella campagna elettorale -se non viene ancorata alla prospettiva strategica da dare al Partito, all’idea stessa di Partito, alla sua capacità di rappresentare davvero valori, interessi, aspirazioni di un fronte ampio di popolazione; se non si riparte dalle ragioni e dalle necessità per l’Italia, di costruire un grande partito riformista in grado di governare, in nome del cambiamento necessario per fronteggiare le grandi e inedite sfide del nuovo secolo, se non ci si muoverà in questa prospettiva vi è il rischio di una discussione monca, o addirittura percorsa da strumentalità legate agli interessi particolari di gruppi e gruppetti. Questo significherà coinvolgere davvero la nostra gente, rendere ognuno protagonista della discussione e delle scelte dalle quali dipenderà il destino del Partito. È il momento per tutti noi di raddoppiare l’impegno disinteressato, la convinzione, la passione, la voglia di esserci che ci trasmettono quei due nuovi democratici che si sono iscritti a San Bartolo e tutti gli altri che alla fine della riunione hanno confermato l’iscrizione per il 2013, per ripartire e farlo al più presto. Dobbiamo fare il congresso. Un congresso serio, politico, scontrandoci, ma per uscire poi con una linea chiara, una leadership riconosciuta, una proposta al paese. Dobbiamo stare insieme per scelta, per convinzione, per cambiare l’Italia, non certo per convenienza. Per questo serve una base larga che partecipa e decide. Dobbiamo ritrovare etica, responsabilità, trasparenza, comunanza di vedute, solidarietà reciproca, rispetto delle regole. Eravamo nati per questo. Per essere un partito nuovo, plurale, aperto, riformista, capace di leggere e rispondere ai bisogni e alle aspettative delle persone, a partire dai più deboli.. E lo dobbiamo fare per l’Italia. Per il Paese di oggi, con i drammi della povertà, della mancanza di lavoro, del precariato, delle imprese che non ce la fanno, dello sviluppo che non c’è. E per il Paese di domani. Se ascolteremo il cuore e la testa dei nostri militanti ed elettori questo percorso sarà ancora possibile.
Ero sollevata di aver votato ed eletto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cui dovremo a lungo dire grazie, ma sul treno che mi conduceva a Firenze, interrogandomi su cosa avrei trovato, sapevo che mi sarei confrontata con la stessa rabbia, giustificata, della nostra gente, ma temevo, ancor di più, la rassegnazione, l’abbandono il «non c’è più niente da fare».
Poi ho incontrato uno dopo l’altro i democratici del circolo. Uno di loro che gentilmente mi aspettava in stazione, mi ha raccontato delle lettere ricevute, di protesta sì, ma anche di sollecitazione alla discussione su cosa davvero fosse successo e su come rilanciare il partito. E poi, arrivata al circolo, in attesa di cominciare, ho trovato una giovane con gli occhi pieni di lacrime e ho provato a confortarla parlandole delle lacrime che hanno riempito anche i miei di occhi e di altri che partecipavano all’assemblea quel 19 sera al Capranica, ascoltando Bersani, dopo che 101 democratici avevano tradito a sangue freddo Romano Prodi e dopo che il giorno prima analoga situazione si era determinata sul voto a Franco Marini. Al circolo c’erano democratiche e democratici offesi, umiliati, traditi nella fiducia che ci avevano concesso. Ma la cosa straordinaria era che i loro animi fossero rivolti al futuro.
La sala si è poi riempita, abbiamo discusso e ragionato ed in effetti c’era rabbia, c’era delusione, c’era dolore, c’era smarrimento. Ma, per fortuna, quel che temevo di più non c’era affatto, anzi. C’era anche speranza, si ascoltava e respirava quella convinzione che il Pd «ci» soprawiverà. Si, saprà sopravvivere anche alle miserie di alcuni. Sbagliavo, quindi, a temere, a non riporre fiducia nell’intelligenza e nella generosità del corpo vero del nostro partito, forse perché troppo impressionata dalle immagini di quella donna che bruciava la tessera. Pensate, due compagni sono arrivati ed hanno rinnovato la tessera dopo molti anni. Mi sono quasi commossa. Tornano ad aiutare il partito nel momento in cui lo vedono in difficoltà.
Quelle democratiche e quei democratici del Circolo San Bartolo a Cintoia ci dicono che non hanno alcuna intenzione di arrendersi. E che questa ferma volontà prescinde, meglio essere chiari, dai gruppi dirigenti che sono e devono sempre essere sostituibili, ma si poggia sul progetto originario del Partito democratico. Incontrare gli iscritti e i militanti mi ha convinta ancor di più che è da lì che dobbiamo ripartire. Che la vitale necessità di riflessione su questi giorni – ma anche sui mesi che abbiamo alle spalle, dalla vittoria di Bersani alle primarie, dall’utilizzo delle stesse per la scelta dei parlamentari intese come l’unica risposta alla crisi di rappresentanza dei partiti, fino all’intensità, l’efficacia e il tasso di coinvolgimento reale di tutto il Partito nella campagna elettorale -se non viene ancorata alla prospettiva strategica da dare al Partito, all’idea stessa di Partito, alla sua capacità di rappresentare davvero valori, interessi, aspirazioni di un fronte ampio di popolazione; se non si riparte dalle ragioni e dalle necessità per l’Italia, di costruire un grande partito riformista in grado di governare, in nome del cambiamento necessario per fronteggiare le grandi e inedite sfide del nuovo secolo, se non ci si muoverà in questa prospettiva vi è il rischio di una discussione monca, o addirittura percorsa da strumentalità legate agli interessi particolari di gruppi e gruppetti. Questo significherà coinvolgere davvero la nostra gente, rendere ognuno protagonista della discussione e delle scelte dalle quali dipenderà il destino del Partito. È il momento per tutti noi di raddoppiare l’impegno disinteressato, la convinzione, la passione, la voglia di esserci che ci trasmettono quei due nuovi democratici che si sono iscritti a San Bartolo e tutti gli altri che alla fine della riunione hanno confermato l’iscrizione per il 2013, per ripartire e farlo al più presto. Dobbiamo fare il congresso. Un congresso serio, politico, scontrandoci, ma per uscire poi con una linea chiara, una leadership riconosciuta, una proposta al paese. Dobbiamo stare insieme per scelta, per convinzione, per cambiare l’Italia, non certo per convenienza. Per questo serve una base larga che partecipa e decide. Dobbiamo ritrovare etica, responsabilità, trasparenza, comunanza di vedute, solidarietà reciproca, rispetto delle regole. Eravamo nati per questo. Per essere un partito nuovo, plurale, aperto, riformista, capace di leggere e rispondere ai bisogni e alle aspettative delle persone, a partire dai più deboli.. E lo dobbiamo fare per l’Italia. Per il Paese di oggi, con i drammi della povertà, della mancanza di lavoro, del precariato, delle imprese che non ce la fanno, dello sviluppo che non c’è. E per il Paese di domani. Se ascolteremo il cuore e la testa dei nostri militanti ed elettori questo percorso sarà ancora possibile.