“Se solo in circa 200 casi su 7mila si arriva ad allontanare il dipendente pubblico colpevole dei reati previsti, è giusto rivedere le norme e soprattutto il modo in cui vengono applicate, intervenendo anche sulla responsabilità dei dirigenti e migliorando la misurazione dell’efficienza e dell’efficacia del loro operato: bisogna metterli in condizioni di maggior trasparenza, obbligandoli a rilevare le violazioni e a procedere nei casi più gravi all’allontanamento di chi le compie, come nei casi dei cosiddetti ‘furbetti del cartellino’. Significa anche mettere fine ad approcci troppo ‘assolutori’ che finora non hanno soddisfatto nessuno e hanno danneggiato gravemente la figura stessa dell’operatore pubblico”.
Lo dichiara la Vice Presidente del Senato Valeria Fedeli.
“Per chi come me è cresciuto nella Cgil di Lama e Trentin – aggiunge – le polemiche di questi giorni sul licenziamento degli assenteisti nella pubblica amministrazione sono inutili e dannose. È sbagliato affermare che i sindacati non si sono mai posti seriamente il problema, e a tal proposito suggerisco di rileggere le parole di Bruno Trentin, puntualmente riportate due giorni fa da Bruno Ugolini sul Diario del lavoro, e vedere che già nel 1987 si ribadiva che i dipendenti pubblici non sono intoccabili e vanno licenziati se commettono illeciti previsti dalle regole per essere licenziati. È anche debole limitarsi a ripetere che le norme già ci sono, perché si tratta di norme che evidentemente non hanno funzionato. Bene dunque le nuove regole, che ovviamente vanno inserite nella prospettiva più ampia della completa riforma della pubblica amministrazione e del futuro Testo Unico del pubblico impiego”.
La maggioranza dei dipendenti pubblici – conclude Valeria Fedeli – svolge con competenza e dedizione il proprio lavoro, ed è bene ribadire che licenziare chi infrange le regole vuol dire licenziare chi danneggia i propri colleghi e la collettività tutta. È un principio basilare per rendere onore a tante battaglie di lavoratori e lavoratrici e a quel prestigio e quella dignità che la nostra Costituzione riconosce alla carriera nelle amministrazioni pubbliche, postulandone il buon andamento, l’imparzialità e il servizio esclusivo alla Nazione. E se per farlo servono nuove norme, ben vengano”.


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