La costruzione di una solida politica industriale, nel nostro Paese, non può fare a meno di una costante opera di riforme che sostengano le condizioni di merito, e di contesto, della corretta competitività della nostra industria, e l’altra faccia di questa medaglia è quella sfida europea che si chiama ‘Made in’.
Se c’é una lezione che dallo scandalo Volkswagen dobbiamo essere in grado di apprendere in tempi rapidi, è proprio l’urgenza di una concorrenza leale e di una chiara reciprocità nelle regole del commercio internazionale: ad essere in gioco non è solo il grande valore economico, sociale ed etico del Made in Italy, ma sono le idee stesse di cittadinanza e di Europa, perché l’obbligo di rintracciabilità delle origini incide direttamente su quel rapporto di fiducia tra consumatori e imprese su cui si fonda l’identità di donne e uomini d’Europa.
La sottolineava su questo giornale, ieri, Lisa Ferrarini, Vicepresidente di Confindustria per l’Europa, l’urgenza di rilanciare il Made in a seguito della vicenda che ha interessato il gruppo automobilistico tedesco.
E da parte mia credo sia fondamentale ribadire che le istituzioni parlamentari non possono che contribuire al pieno sostegno di questo dossier, che in sostanza punta ad affermare il principio secondo il quale non si può importare, in Europa, qualsiasi merce senza alcun obbligo di rintracciabilità delle origini.
È una libertà di scelta, quella dei consumatori, che presuppone la conoscenza dell’origine e della composizione dei prodotti, e a garantire questa libertà, come dimostra anche il caso Volkswagen, non sono sufficienti dei buoni piani di marketing: occorrono la trasparenza, la corretta informazione e la sicurezza che solo con una seria certificazione di qualità possono essere tradotti in fiducia e prospettive di sviluppo sostenibile.
È un dovere che tutti insieme dobbiamo assolvere, inoltre, nei confronti delle tante imprenditrici e dei tanti imprenditori che in questi anni di crisi hanno saputo resistere, e soprattutto innovare, nel pieno rispetto delle regole e della legalità. Sono molti i dati degli ultimi mesi che ci confortano sulla crescita e sull’occupazione, e l’affermarsi del Made in Italy nel mondo e nei consumi interni rappresenta certamente una grande risorsa della nostra economia, ma perché si possa rendere strutturale l’avanzare nella competizione sui mercati globali è indispensabile un sistematico contrasto alle contraffazioni, incentivando da un lato le innovazioni e la ricerca industriale e, dall’altro, appunto, lo sviluppo dei sistemi di tracciabilità dei processi produttivi. Molto è stato fatto e molto altro dovremo saper fare. Tanti temi che l’Italia poneva al centro dell’agenda politica europea sono arrivati, negli ultimi mesi, ad ottenere la giusta considerazione che meritano, e ora sarà indispensabile che anche sulle proposte in materia di ‘Made in’ si faccia tutti uno sforzo in più, perché a guadagnarci, da una corretta competizione globale, sarà nel lungo periodo tutta l’Europa. Questo è il messaggio che deve passare. L’Italia è in prima linea in questa battaglia di civiltà, perché siamo consapevoli che la dimensione europea è la nostra dimensione naturale per competere puntando su crescita, buona occupazione, sviluppo sostenibile, rispetto dei diritti e reciprocità delle regole; solo così potranno essere superate le assurde divergenze interne ai paesi europei, imposte soprattutto dal Nord Europa.
Divergenze che si dimostrano sempre essere, prima o poi, controproducenti per tutti.
Se c’é una lezione che dallo scandalo Volkswagen dobbiamo essere in grado di apprendere in tempi rapidi, è proprio l’urgenza di una concorrenza leale e di una chiara reciprocità nelle regole del commercio internazionale: ad essere in gioco non è solo il grande valore economico, sociale ed etico del Made in Italy, ma sono le idee stesse di cittadinanza e di Europa, perché l’obbligo di rintracciabilità delle origini incide direttamente su quel rapporto di fiducia tra consumatori e imprese su cui si fonda l’identità di donne e uomini d’Europa.
La sottolineava su questo giornale, ieri, Lisa Ferrarini, Vicepresidente di Confindustria per l’Europa, l’urgenza di rilanciare il Made in a seguito della vicenda che ha interessato il gruppo automobilistico tedesco.
E da parte mia credo sia fondamentale ribadire che le istituzioni parlamentari non possono che contribuire al pieno sostegno di questo dossier, che in sostanza punta ad affermare il principio secondo il quale non si può importare, in Europa, qualsiasi merce senza alcun obbligo di rintracciabilità delle origini.
È una libertà di scelta, quella dei consumatori, che presuppone la conoscenza dell’origine e della composizione dei prodotti, e a garantire questa libertà, come dimostra anche il caso Volkswagen, non sono sufficienti dei buoni piani di marketing: occorrono la trasparenza, la corretta informazione e la sicurezza che solo con una seria certificazione di qualità possono essere tradotti in fiducia e prospettive di sviluppo sostenibile.
È un dovere che tutti insieme dobbiamo assolvere, inoltre, nei confronti delle tante imprenditrici e dei tanti imprenditori che in questi anni di crisi hanno saputo resistere, e soprattutto innovare, nel pieno rispetto delle regole e della legalità. Sono molti i dati degli ultimi mesi che ci confortano sulla crescita e sull’occupazione, e l’affermarsi del Made in Italy nel mondo e nei consumi interni rappresenta certamente una grande risorsa della nostra economia, ma perché si possa rendere strutturale l’avanzare nella competizione sui mercati globali è indispensabile un sistematico contrasto alle contraffazioni, incentivando da un lato le innovazioni e la ricerca industriale e, dall’altro, appunto, lo sviluppo dei sistemi di tracciabilità dei processi produttivi. Molto è stato fatto e molto altro dovremo saper fare. Tanti temi che l’Italia poneva al centro dell’agenda politica europea sono arrivati, negli ultimi mesi, ad ottenere la giusta considerazione che meritano, e ora sarà indispensabile che anche sulle proposte in materia di ‘Made in’ si faccia tutti uno sforzo in più, perché a guadagnarci, da una corretta competizione globale, sarà nel lungo periodo tutta l’Europa. Questo è il messaggio che deve passare. L’Italia è in prima linea in questa battaglia di civiltà, perché siamo consapevoli che la dimensione europea è la nostra dimensione naturale per competere puntando su crescita, buona occupazione, sviluppo sostenibile, rispetto dei diritti e reciprocità delle regole; solo così potranno essere superate le assurde divergenze interne ai paesi europei, imposte soprattutto dal Nord Europa.
Divergenze che si dimostrano sempre essere, prima o poi, controproducenti per tutti.