A quasi 40 giorni dal decreto con cui l’8 marzo scorso il presidente Conte ha annunciato il “lockdown” dell’Italia, credo sia giusto porci il tema di come pianificare la transizione verso una riapertura in sicurezza delle attività produttive, dei servizi, della scuola, dei beni culturali.
Proprio perché, come virologi ed epidemiologi avvisano, il traguardo dell’azzeramento dei contagi è ancora lontano e un vaccino non sarà disponibile prima dei prossimi mesi, come decisori politici abbiamo la responsabilità di definire, concordare e mettere in campo regole, strategie e condizioni in grado di rendere possibile – d’accordo anche con le autorità sanitarie – il riavvio di tutte le attività in convivenza con il virus.
Con il protocollo del 14 marzo scorso per la tutela della salute nei luoghi di lavoro sottoscritto dalle rappresentanze sociali delle imprese e dei lavoratori presso la presidenza del Consiglio e che ha già avuto attuazione in importanti realtà aziendali sul territorio italiano, imprese e sindacati hanno indicato una strategia valida e innovativa sia nel metodo che nel merito per tenere insieme lavoro e salute, due diritti che mai devono essere contrapposti e che solo contemperati si rafforzano l’un l’altro.
Oggi quel modello – che da una parte investe la capacità e la qualità delle relazioni tra sindacato e impresa di essere all’altezza della sfida imposta dall’emergenza Coronavirus e dall’altra offre l’opportunità di pensare e realizzare forme innovative di organizzazione del lavoro – va allargato e applicato a tutte le filiere produttive e dei servizi, all’insieme della nostra economia reale e della nostra mobilità.
Solo così sarà possibile garantire la reale ripartenza del Paese oltre le pur necessarie misure di sostegno a famiglie, lavoratori e imprese già messe in campo dal governo e dalle istituzioni europee e che dovranno ulteriormente essere integrate e prolungate a sostegno di questa prima fase.
In una lettera pubblicata sabato scorso su Repubblica i segretari generali di Cgil Cisl e Uil hanno esortato a “utilizzare queste giornate per preparare l’Italia alle prossime fasi lavorando per la sicurezza e la salute di tutti in modo collaborativo e responsabile, ascoltando i consigli della comunità scientifica e delle istituzioni sanitarie, concordando insieme il futuro”.
Certo, sono d’accordo, però concordare insieme il futuro implica due passaggi. Il primo sta nel superamento di resistenze di parte e corporative che fino ad oggi hanno rallentato se non ostacolato il cambiamento. Si pensi, ad esempio, alle obiezioni a lungo opposte allo smart working e che ne hanno impedito l’adozione in ambiti lavorativi che oggi, in piena emergenza, ne stanno sperimentando tutta l’utilità e l’efficacia.
Il secondo consiste nella scelta, decisa, dell’innovazione (la connessione digitale come diritto di cittadinanza e le competenze digitali come strumenti per superare le disuguaglianze) come condizione imprescindibile non solo per ripartire “con” il Coronavirus ma anche per poter ricominciare a crescere “dopo” il Coronavirus in modo più sostenibile, solido, equo, paritario, come chiaramente espresso dall’agenda 2030 dell’Onu.
Concordare insieme il futuro significa condividere l’obbiettivo di rimettere in moto il nostro sistema produttivo e definire insieme le modalità in cui questo potrà avvenire garantendo la sicurezza di lavoratrici e lavoratori e di tutti i cittadini. Distanziamento sociale, rilevamento della temperatura, dotazione di dispositivi di protezione personale sono tutte condizioni necessarie ma non sufficienti.
Attraverso i dati che test, screening e mappature potranno essere in grado di fornirci grazie ancora all’investimento in strumentazioni tecnologiche, innovazione, connettività e ricerca, sarà necessario individuare chi sono i soggetti che possono lavorare in sicurezza e predisporre protocolli efficaci per l’immediata presa in carico di eventuali situazioni a rischio.
Serve insomma una visione generale, più complessiva, che vada oltre il singolo provvedimento, le singole misure scaglionate nel tempo spesso infarcite di troppi cavilli di burocrazie di vario tipo che spesso ostacolano, rallentano e creano confusione e incertezza. Una consapevolezza e una responsabilità condivisa che produca un cambio di passo, di mentalità e di relazione, strumenti e approcci culturali e politici tra le parti per compiere ora, con il coinvolgimento di tutte le rappresentanze, scelte di sistema per decidere “come ripartire quando si potrà ripartire”.
Dopo aver chiesto ai cittadini di dimostrare una responsabilità di cui è stata offerta, e continua a essere offerta, straordinaria testimonianza, lo Stato deve dar prova di essere in grado di governare la complessità senza lasciare indietro nessuno nel rispetto della salute e della sicurezza di tutti, ma anche consapevoli che per non lasciare indietro nessuno, la visione e le tappe differenziate per aprire al lavoro che produce ricchezza per essere distribuita, hanno assoluto bisogno di analisi condivise di ciò che potrà essere il nostro futuro economico dentro il mondo globale.