I dati del report su povertà e disagio minorile impongono scelte importanti per migliorare le condizioni dei giovani più poveri a partire dalla scuola
L’Italia è al 22° posto su 29 paesi per il benessere dei bambini. E’ quanto emerge dal rapporto sulla povertà e il disagio minorile presentato ieri della Commissione parlamentare per l’infanzia nel corso di una conferenza stampa a Roma cui ho partecipato come componente della Commissione e che ha visto la presenza del Presidente del Senato Pietro Grasso, il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti oltre alla presidente Michela Brambilla. Il rapporto evidenzia la necessità di scegliere: o si mette in campo una politica seria, organica e adeguatamente finanziata per l’infanzia e l’adolescenza oppure, è evidente, la condizione dei minori più poveri nel nostro Paese continuerà a peggiorare.
Temi che ho avuto modo di approfondire in un recente dibattito pubblico con Maurizio Landini sul rapporto tra creatività e cittadinanza attiva per la difesa dei diritti dei minori in occasione della Giornata Mondiale contro il lavoro minorile. Insieme convenivamo sul fatto che la scuola abbia il compito di formare ai valori della solidarietà e dell’inclusione, nonché ad una consapevole partecipazione democratica. E la scuola è spesso molto attenta a questi temi e processi.
Come possono, quindi, questi principi coniugarsi con i dati che emergono dal report presentato ieri? Un altro passaggio della relazione si sofferma proprio sul ruolo degli istituti scolastici. Numeri desolanti che ci presentano casi come quello della Campania, dove il tempo pieno a scuola è garantito soltanto nel 6,5% delle scuole primarie e nel 15,3% delle secondarie, o come quello della Sicilia dove la dispersione scolastica arriva fino al 25,8%, a fronte di una media nazionale che resta altissima (17%) e che ha visto 3 milioni di studenti negli ultimi 15 anni non terminare il proprio percorso di studi. Dati ai quali la Commissione cerca di dare risposte ben precise, proponendo, ad esempio, l’approvazione del piano nazionale per l’infanzia e il negoziato con l’Unione Europea per ottenere lo scorporo delle spese per l’infanzia e l’adolescenza dal calcolo del rapporto deficit/pil.
In questa direzione si muove anche la riforma scolastica che ha ricevuto una settimana fa il via libera con voto di fiducia al Senato. Una comunità educante deve mettere al centro la formazione del cittadino: è il tema che ha spinto il Governo a riportare la scuola come priorità dell’agenda politica del Paese e stanziare oltre 3miliardi di euro. Risorse strutturali per il sistema e l’edilizia scolastica come richiama l’Unità in edicola oggi con l’articolo ‘Riapre la scuola. Entrano gli operai – 8mila cantieri per un investimento di 4miliardi di euro. C’è l’anagrafe degli edifici’. Con questa riforma abbiamo la possibilità di costruire e rafforzare l’autonomia scolastica, da tempo penalizzata per la mancanza di risorse, attraverso un nuovo modello di governance. A tal proprosito solo nel Nord Ovest tra posti comuni e di sostegno si parla di 13mila nuovi assunti solo per il potenziamento scolastico e che quindi si vanno ad aggiungere al piano già previsto.
Una scuola aperta al territorio che offre agli studenti spazi adeguati per esprimere, conoscere e sviluppare interessi, passioni, talenti e saperi con l’introduzione del ‘curriculum dello studente’ e l’alternanza ‘scuola-lavoro-territorio’. Una scuola che si organizza in reti di autonomie, fa squadra con i servizi territoriali e con le risorse educative, culturali e professionalizzanti offerte dalle realtà locali, per fare innovazione e ricerca nell’ambito formativo. In questi mesi, nelle tante occasioni di confronto ho cercato di orientare il dibattito soprattutto guardando a chi a scuola ci va per apprendere, formarsi ed esercitare i propri diritti e doveri.
E’ ciò che ho ricordato nel corso del mio intervento in Senato, nella giornata di discussione a Palazzo Madama, che mi ha spinto a partire dal rapporto presentato dal Garante Infanzia e adolescenza nel quale è emerso che più del 25% dei minorenni e del 37% dei giovani vive un senso di esclusione nella relazione con lo Stato e il proprio ambiente di vita.

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