Senatore Luciano D’AIfonso, sul banco degli imputati c`è la clausola statutaria che permette ai cda di molte società quotate di proporre una lista per il suo rinnovo senza troppi presidi. Che cosa l`ha spinta a presentare la proposta di riforma che ha firmato quale presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato con altri esponenti del Pd e del M5s oltre che con Elio Lannutti del Gruppo Misto?

«Deve essere chiaro un punto: dobbiamo introdurre meccanismi di trasparenza, di contendibilità dei ruoli e di democrazia anche nell`economia di mercato e nelle società quotate in Borsa. Con questo spirito ci siamo posti la domanda: come fare affinché lo strumento della “lista del consiglio” non ostacoli il processo partecipativo del mercato, soprattutto in relazione ai piccoli investitori?».

A proposito di tutela dei piccoli azionisti, quali sono i presidi indispensabili?

«Una garanzia cruciale è il largo anticipo con il quale si dovrebbe depositare la lista rispetto alla scadenza. Ma ci sono almeno altri cinque meccanismi ben descritti nella legge che servono a consentire un`esatta valutazione. In modo tale che la comparazione non sia liturgica. formale, ma sia di merito»

Faccia un esempio.

«La lista dovrebbe avere un numero di candidati pario superiore ai massimo dei posti disponibili, per evitare la presentazione di liste di minoranza. Inoltre, deve essere evitata la possibilità di presentare come candidati soggetti in carica da sei o più anni. E ancora, è previsto che qualora la lista del cda non risulti maggioritaria, non può accedere, come lista arrivata seconda, al riparto dei posti previsto dallo statuto. Il paradosso è che in base alla vigente normativa, dalla lista del consiglio arrivata seconda dovrebbero essere tratti i candidati di minoranza, con l’effetto di riconoscere al consiglio uscente l`attribuzione di posti pensati per le minoranze azionarie».

Un`altra distorsione è la lista bloccata, senza possibilità di esprimere preferenze sui singoli componenti.

«Assolutamente. E dunque, se la lista del consiglio arriva prima, deve essere previsto un articolato meccanismo che consenta all`assemblea di votare sui singoli nominativi proposti. Ma devono anche essere introdotte precise regole per risolvere alcuni nodi in caso di mancata approvazione di uno o più candidati».

Eppure, all`estero l`utilizzo della lista del consiglio è molto diffuso e apprezzato anche dai fondi istituzionali. Perché in Italia non funziona? Pesa più la preoccupazione di garantire merito e qualità nei cda e di garantire un equilibrio nella governance delle società che attragga capitali e talenti oppure la preoccupazione del consolidamento di poteri autoreferenziali a danno delle minoranze ma anche delle società stesse?

«Si tratta di uno strumento nato e cresciuto in contesti, come gli Stati Uniti, di società ad azionariato diffuso o polverizzato, nei quali può risultare disagevole e comunque non rappresentativa la presentazione di liste da parte dei soci. In Italia è ormai una prassi applicata anche in società con azionisti stabilì o di riferimento: c`è una bella differenza. Nel nostro Paese, la lista del consiglio rischia di essere davvero una trazione conservatrice di tutto il preesistente con strumenti abbondanti di orientamento senza che nei fatti mai si apra al confronto del libero mercato e dei risparmiatori, dei piccoli azionisti».

Un esempio concreto?

«Immagini che io sia l`amministratore delegato di Generali o di Unicredit. Determino la lista del consiglio che dovrebbe avere il valore della stabilizzazione. Ma come si inquadra la lista del consiglio, con quale voto da parte del consiglio uscente? E poi, quanto influisce su questa lista il ruolo dell`amministratore de- legato uscente? Questi rischia di essere l`unico titolare di padronato di una realtà complessa che non esaurisce la sua trazione di influenza all`interno dei consiglieri ma riguarda il perimetro del mercato, dei risparmiatori piccoli e grandi».

Quindi l`obiettivo della legge è evitare dì perpetuare in automatico un certo potere che può creare più danni che benefici alla società stessa e alimentare conflitti di interesse?

«Non è solo una questione di autoreferenzialità. Il rischio è che proprio dietro la lista del consiglio si celino uno o più soci forti che tendono ad occultare collegamenti di fatto, o addirittura un`azione di concerto. Oppure che si celino soci con l`intento preciso di attribuire o rafforzare la percezione sull`indipendenza o lo spessore del blocco di candidati. Inoltre, la raccolta di consensi da parte degli azionisti rispetto alla “lista” potrebbe essere fortemente alterata dall`esistenza e dal rafforzamento di relazioni commerciali tra la società e alcuni soci significativi. o di minoranza, che però non sono considerati tra le parti correlate. Si rischia un vero e proprio mercato del voto».

Quindi gli Indipendenti potrebbero non essere così indipendenti e anche soci di minoranza sulla carta possono avere interessi che vanno oltre quelli della società.

«E così: dobbiamo evitare la catena di Sant’Antonio oggi oggettivamente possibile.  E allora se a fare da argine non sono i meccanismi autodeterminati in ragione del patrimonio di rettitudine o della buona esperienza, quindi della tradizione della società,   deve provvedere il legislatore. La linea della virtù o la stabilisce l`esperienza reale o ci deve pensare l`ordinamento».


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