False voci, soprattutto estere, sulla solidità delle banche italiane, la Commissione Ue che blocca l`uso del
fondo sui depositi e ha impedito ogni ipotesi di bad bank, la vigilanza europea che impone misure di prudenziali sempre più onerose e mette a rischio la fusione tra Bpm e Banco Popolare, in barba a ogni richiesta di consolidamento fin qui fatta. Di indizi per sospettare una manovra concentrica contro le banche italiane ce ne sono a sufficienza e Mauro Marino, presidente della commissione Finanze del Senato, relatore nell`indagine conoscitiva sul sistema bancario effettuata dalla stessa commissione, è convinto che, «come
diceva Giulio Andreotti, che pure non è mai stato un mio punto di riferimento, a pensar male si fa peccato, ma di solito ci si azzecca. E qui l`impressione di un attacco speculativo sull`Italia e sul suo sistema bancario è più che giustificata. Noi, forse con un po` di preveggenza, abbiamo svolto un`indagine conoscitiva, finalizzata all`introduzione del sistema di vigilanza unico, che si è conclusa proprio a metà
dicembre. Nel corso delle audizioni sono sfilati di fronte ai commissari tutti, ma proprio tutti, i soggetti coinvolti, dalle banche ai regolatori, ai vigilanti, alle associazioni di categoria e il quadro che è emerso è quello di un sistema solido e ben patrimonializzato, con poche criticità. Penso che le conclusioni di quel lavoro potrebbero essere una lettura istruttiva per tanti a Bruxelles, a Berlino e anche da noi, soprattutto consiglierei di leggerle a molti giornalisti e conduttori di talk show, che quando parlano delle banche italiane sembra stiano descrivendo gli ultimi giorni di Pompei. Una ricerca di sensazionalismo ingiustificato che finisce per aiutare chi ha intenti speculativi».
Domanda. Il problema è che a fomentare questo clima sono anche le istituzioni, che con gli intenti speculativi dovrebbero entrarci poco.
Risposta.
Credo che tra le istituzioni europee sia diffuso un pregiudizio sull`Italia, rafforzato
dal fatto che in passato abbiamo preso impegni che poi non sono stati mantenuti. Ricordo en passant che nel
1996 c`eravamo impegnati su un piano ventennale di rientro dal debito per la parte eccedente il 60% del pil. E da quegli impegni disattesi che si è arrivati infine al Fiscal compact. Ma quel pregiudizio, giustificabile
in passato, ora non lo è più perché in Italia sono cambiati governi e politiche. E poi sulle banche proprio non si comprende tanta prevenzione. La Commissione, la Bce e l`Eba dovrebbero sapere bene che i parametri con cui si sono dovute confrontare le banche italiane sottoposte a stress test erano ben più rigidi e negativi
di quelli imposti alle altre banche europee. Eppure i nostri istituti li hanno superati.
D. A questo proposito la vicenda Bpm-Banco Popolare appare ancora più eclatante. Sono due banche che hanno superato gli stress test da sole, però secondo la Ue se si uniscono non sono più in equilibrio e devono
svalutare in un colpo gli npl e fare l`aumento di capitale. Ma ci stanno prendendo in giro?


R.
Verrebbe da rispondere sì. E non è l`unica posizione incomprensibile. C`è anche il tema,
sempre ventilato, del rating sul rischio sovrano, che porta Germania e altri a chiedere che le nostre banche cedano buona parte dei titoli di Stato che hanno in portafoglio, mentre la quantità di derivati in pancia
agli istituti tedeschi e francesi lascia tutti tranquilli. Lo schema tedesco è: prima vengono le regole, poi devono essere applicate, quindi si può pensare alla condivisione dei rischi. Diritti e doveri, ma per noi valgono solo i secondi, ai diritti non ci fanno mai arrivare. E l`Unione bancaria è l`esempio eclatante: sono
già operativi il meccanismo di supervisione unico (Ssm) e il meccanismo unico di risoluzione (Srm) mentre per il fondo di risoluzione dobbiamo aspettare il 2023.
D. Non crede sia stato un errore non aver insistito sulla contestualità tra i due passaggi?
R. Lo hanno impedito i tedeschi, ma forse l`errore vero è sistemico. Il trattato di Lisbona
prevede la partecipazione dei parlamenti nazionali alla fase preparatoria delle varie misure, la cosiddetta fase ascendente, noi però non solo abbiamo pochi funzionari nei ranghi della Ue, ma non seguiamo nemmeno i
dossier durante la loro preparazione, per poi lamentarci quando le misure ci cascano sulla testa. Sottovalutazioni a parte direi che, comunque, un ripensamento generale sul bailin sarebbe necessario.
D. E lei pensa che in Europa farebbero passare una scelta del genere?
R. Sarà una partita dura, bisognerà vincere le resistenze dei tedeschi, eppure c`è un
interesse generale che chiede maggiore gradualità e non riguarda solo i riflessi delle misure su azionisti, obbligazionisti e clienti delle banche, ma gli oneri aggiuntivi di sistema che devono affrontare le banche
stesse. In un recente seminario i vertici di Unicredit ci hanno spiegato che, essendo loro una grande banca europea, la partecipazione ai vari meccanismi nazionali di garanzia costa 780 milioni all`anno, ma essendoci
stati lo scorso anno problemi in Polonia, Croazia e in Italia, con le quattro banche, la cifra è salita a 1,4 miliardi. Questi costi, uniti alle continue richieste di capitalizzazione, rendono il percorso complicato per tutte le banche, non solo quelle italiane.
D. La tedesca Hsh Nordbank è stata salvata con capitali pubblici poche settimane prima del niet su Etruria e le altre tre banche italiane. In Europa per alcuni le regole si rispettano e per altri s`interpretano?
R.
Sembra proprio così, ma è ancora più grave il fatto che le motivazioni di questa deroga non sono ancora state depositate e rese pubbliche. Tra l`altro, proprio nei giorni in cui la Ue autorizzava il salvataggio di Hsh Nordbank noi abbiamo accelerato l`approvazione delle nuove norme per utilizzare lo stesso schema per le quattro banche, ma ce lo hanno impedito. A questo punto c`è un problema serio con l`Europa, perché non possiamo accettare che si applichino due pesi e due misure.
D. A proposito di pregiudizi, adesso ci si è messo anche Renzi a dire che ci sono troppe banche e troppi banchieri.
R.
Io veramente l`ho interpretato in un`altra maniera. Si è fatto un importante lavoro di aggregazione con metodi diversi, per le popolari si è fatto un intervento dall`alto, le fondazioni si sono autoriformate, per le Bcc si è seguita una strada mediana, a questo punto, il richiamo al numero di banche
e banchieri è solo una sollecitazione ad assumere dimensioni europee.
D. Su bad bank e bailin c`è stata qualche sottovalutazione da parte italiana?
R. Sulla bad bank la responsabilità è del comportamento altalenante dei nostri interlocutori europei mentre il bail-in l`avremmo potuto seguire meglio. Si poteva ottenere che la direttiva entrasse in vigore nel
2016 ma solo in modo graduale e progressivo, per adeguare i risparmiatori alle novità. Se nel 2013 avessimo battuto i pugni sul tavolo su questo punto avremmo evitato i disastri che hanno colpito gli obbligazionisti
di Etruria e delle altre tre banche.
D. Dopo questa vicenda sono state depositate diverse richieste per una commissione parlamentare d`inchiesta con gli stessi poteri della magistratura? E la soluzione migliore o è solo altra benzina sul fuoco?
R.
Ci sono tanti saggi che dimostrano la poca utilità delle inchieste parlamentari, ma se alla fine la commissione sceglierà questa strada la seguiremo, io personalmente ritengo che una commissione d`indagine
che continuasse il buon lavoro fatto precedentemente ci consentirebbe di concentrarci meglio sui problemi di sistema, mentre gli aspetti penali credo sia giusto vengano indagati dalla magistratura, di cui ho la massima fiducia, e questo anche per non incrementare quel senso di disfattismo di cui tanto abbiamo parlato.


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