Caro direttore, ha ragione Francesco Giavazzi, nel suo articolo di fondo del 9 dicembre, a temere che le varie Google, Facebook e Amazon non paghino nulla e che, alla fine, la web tax gravi solo sui consumatori. È questo, infatti, l`esito che potrebbe determinarsi se la Camera dei deputati approvasse le modifiche alla norma varata dal Senato, delle quali ha parlato il relatore alla legge di Bilancio, Francesco Boccia. Le modifiche porterebbero a una seconda Iva sui consumi digitali e, come vedremo, a una pesante maggiorazione de facto dell`Ires per le imprese web italiane diminuendo, al tempo stesso, dal 6 all`1% il tributo a carico delle varie Google che oggi vendono servizi digitali in regime di elusione fiscale.
La web tax approvata a Palazzo Madama prevede un prelievo del 6% sui corrispettivi delle transazioni digitali tra imprese per quei servizi che, nel gergo dell`Ocse, vengono definiti «pienamente dematerializzati», Questo prelievo genera un credito d`imposta di pari entità che le imprese web italiane (e pure le multinazionali estere, se in Italia hanno una stabile organizzazione) possono detrarre dall`Ires, dall`Irap, dalle ritenute su compensi a terzi, dai contributi Inps e Inail. Chi, invece, come Google, Facebook e altri giganti del web non fa transitare il grosso delle sue attività per proprie entità italiane (società controllate o stabili organizzazioni) paga e basta. Per capirci, se davvero Google estrae ricavi per 2 miliardi come dicono gli editori, pagherà 120 milioni di web tax. Ma se anche si «mettesse in regola» facendo transitare questi ricavi per le sue entità italiane, Google dovrebbe avere oneri fiscali e contributivi per 120 milioni per andare pari (visto che il credito d`imposta non dà diritto a rimborsi ma solo a compensazioni). Per avere oneri di tale portata, Google dovrebbe dichiarare un utile importante oppure avere un costo del lavoro, diretto e indiretto, che oggi non ha. Google, questi conti li sa fare bene. E teme il contagio. In Europa Google fattura 22 miliardi. Con una web tax generalizzata vedrebbe ridursi di 1,3 miliardi i profitti.
La norma ora in discussione alla Camera non grava dunque sulle imprese web che già pagano le tasse in Italia. E, di fatto, nemmeno sui consumatori. Ammesso e non concesso che le multinazionali «colpite» traslino subito e in toto questo 6% sul prezzo dei loro servizi, questo incremento, comunque fiscalmente deducibile, inciderebbe per una frazione pressoché impercettibile sui costi operativi delle imprese clienti che, a loro volta, lo potrebbero traslare sui clienti secondo lo schema teorico buono per tutte le imposte. Ma all`atto pratico di che parliamo? Per un ristorante con il suo bel sito su Google si tratta dell`equivalente di una bottiglia di vino, e non certo di un super tuscan, da spalmare in un anno sui suoi ricavi.
Viceversa l`idea di imporre un tributo dell`i% su tutte le transazioni, in particolare sull`e-commerce, finirebbe per costituire un prelievo direttamente a carico dei clienti finali e delle imprese web italiane. Il governo ha fatto i salti mortali per disinnescare le clausole di salvaguardia, che prevedevano l`aumento dell`Iva, e adesso variamo un`Iva bis (tralascio i profili di compatibilità con le direttive europee) sulle modalità più moderne di scambio di beni e servizi? Auspico un supplemento di riflessione. Ma c`è dell`altro. Si vuol togliere il credito di imposta, perché, si dice, provocherebbe un aggravio burocratico per le imprese. Mi chiedo quale sia l`aggravio se lo hanno applicato senza problemi perfino i privati con l`eco bonus. D`altra parte, senza credito d`imposta, le imprese web che pagano le tasse ne dovrebbero pagare una di più, pari all`i% dei propri ricavi. Non sarebbe una banalità: un`impresa che fattura io° euro e dichiara un utile lordo di io, oggi versa un`Ires di 2,4; con la «nuova web tax», dovrebbe aggiungere l`iss dei ricavi e pagare 3,4. Sono io punti in più di Ires.
Torneremmo a prima del secondo governo Prodi che abbassò l`lres dal 33 al 27,5%, poi ulteriormente ridotta al 24% dal governo Renzi.


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