La crisi sanitaria legata al Covid-19 ha avuto numerosi impatti sulla nostra vita quotidiana e sull’intera economia globale. Una delle tante conseguenze preoccupanti, sulla quale non è stata ancora fatta una riflessione seria da parte della classe politica, è quella sul volume e sulla flessibilità con cui il credito può e potrà essere concesso in futuro. Anche su questo argomento così delicato, che ha un impatto significativo sulla vitalità delle nostre aziende, l’Europa può fare molto.
In primis occorre rivedere alcune regole che sono state introdotte dopo la crisi finanziaria del 2008, adattandole alle nuove esigenze senza automatismi, le quali, così come sono adesso, potrebbero avere effetti controproducenti sulla crescita. Ad esempio, occorre riformare la normativa sui crediti deteriorati, i Non Performing Loans (NPLs), che prevede un percorso rigido di segnalazione e smaltimento dei suddetti crediti. Tali regole furono pensate per essere adatte a un periodo di lenta ripresa dalla crisi finanziaria, durante la quale i crediti deteriorati si erano accumulati, e risultano invece poco adatte in una fase di crisi acuta come quella che stiamo vivendo.
Le istituzioni europee dovrebbero quindi introdurre elementi di flessibilità, quantomeno temporanei, consentendo maggiore libertà per gli istituti di credito per erogare credito a famiglie e imprese, anche dopo la fine delle moratorie, come peraltro richiesto dal Comitato Economico e Sociale Europeo e dall’ABI. Occorre pertanto che le istituzioni europee diano ascolto alle sollecitazioni provenienti dal governo italiano, che è molto attento agli allarmi del settore bancario, per far sì che la già provante crisi sanitaria non si risolva in un lungo strascico a detrimento del tessuto imprenditoriale italiano ed europeo.


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