CREDO CHE IL DIBATTITO PUBBLICO SULLA LEGGE ELETTORALE E SULLE RIFORME COSTITUZIONALI RICHIEDA OGGI UNA RIFLESSIONE SULLE MUTATE CONDIZIONI DI CONTESTO IN CUI CI TROVIAMO A DISCUTERNE.
Le condizioni in cui, al Senato, abbiamo lavorato alla riforma elettorale c.d. di salvaguardia erano segnate dall`evidenza che si trattasse di dotare il Paese di uno strumento di natura transitoria, anche in considerazione del fatto che era pendente il ricorso alla Corte costituzionale in ordine ai pretesi difetti di costituzionalità del c.d. porcellum. L`esito del lavoro al Senato ci ha consegnato un consenso maggioritario per un modello di tipo spagnolo. Una soluzione dignitosa e condivisa, ma di natura transitoria. Era stata questa, peraltro, la condizione che aveva favorito un dialogo molto aperto tra le diverse forze politiche, sentendosi ciascuna rassicurata dal fatto che la legge elettorale «a regime» sarebbe stata quella conseguente alle riforme costituzionali. Nel frattempo il d.d.l. costituzionale di riforma dell`art. 138 della Costituzione veniva discusso e agevolmente approvato al Senato, la Commissione degli esperti consulente del Governo per le riforme si accingeva a concludere, il giudizio della Corte sulla incostituzionalità della legge vigente poteva essere anticipato dall`impegno del Parlamento.
Questo era, allora, il contesto in cui la riforma elettorale si arenò, di fronte alla impossibilità di trovare al Senato, come il Pd risolutamente si era determinato a chiede- re, una maggioranza utile ad approvare una riforma elettorale che prevedesse un doppio turno, di coalizione o di collegio.
Oggi le condizioni in cui alla Camera si lavora alla riforma elettorale sono altre. Si ragiona, innanzitutto, di una riforma elettorale «a regime» (anche se rimane sullo sfondo il nesso con le riforme costituzionali necessarie).
La Corte costituzionale ha appena depositato la motivazione della sentenza consegnando al Paese – come era necessario che accadesse – un sistema elettorale che, scontati i profili di incostituzionalità del c.d. porcellum, consiste in un sistema proporzionale puro con voto di preferenza.
Il d.d.l. costituzionale si è arenato alla Camera, apparentemente senza eccessiva sofferenza da parte del Governo proponente e dello stesso Pd.
Vicende politiche di primo rilievo hanno prodotto poi cambiamenti di scenario.
La scissione del Pdl e la nascita di due distinte formazioni politiche, l`uscita di FI dalla maggioranza, la decadenza di Silvio Berlusconi, il congresso e l`elezione con le primarie del nuovo segretario del Pd, e gli stessi sommovimenti nel partito di centro hanno impresso un nuovo segno, e un nuovo senso all`intera vicenda. Tutto questo ha fatto sì che il d.d.l. costituzionale si sia arenato alla Camera, apparentemente senza eccessiva sofferenza da parte del Governo proponente e dello stesso Pd.
L`asse politico delle riforme non è più il Governo, come era accaduto nella prima parte della legislatura con dichiarazioni più che impegnative del Presidente Letta – in coerenza con l`assunzione di responsabilità del Capo dello Stato – , ma si è spostato tutto in sede politica con pieno protagonismo del Pd e del suo Segretario.
Renzi ha, dunque, la necessità di giocare la partita in campo aperto con larghissimo raggio di interlocuzione e senza blindare nessuna posizione di partenza, a cominciare da quella relativa al meccanismo del doppio turno che pure, come sappiamo, è nel nostro sistema l`unica strada per «sapere la sera delle elezioni chi governerà». In un sistema politico sostanzialmente tripolare (Pd, Fi, M5S), infatti, non basta a raggiunge- re questo risultato nessun premio di maggioranza che, per essere legittimo costituzionalmente (ce lo ha detto la Consulta), deve essere ancorato al raggiungimento di una soglia di consenso ragionevolmente non inferiore al 40%.
 Il passaggio è oggettivamente difficile. Ed è altresì complicato dal profilo politico interno al Pd, che dalla precedente legislatura e dalla segreteria Bersani sostiene il sistema del maggioritario a doppio turno come propria proposta, reiteratamente depositata in Parlamento, a cui, però, potrebbe essere costretto a rinunziare proprio quando (teoricamente a partire dal 27 gennaio) si tratti di approvare una riforma elettorale a regime.
Io credo che Matteo Renzi abbia dunque la necessità di costruire all`interno del Pd, e dei propri gruppi parlamentari, una piena, corresponsabile solidarietà.
Non può nascondersi, infatti, che è difficile – anche se non impossibile – costruire una maggioranza sul doppio turno anche alla Camera; che, fuori dalla maggioranza, il principale soggetto politico (il secondo partito del Paese) con cui interloquire per approvare una riforma è il più strenuo sostenitore del ritorno alle urne; che nella maggioranza il Ncd «soffra» quell`interlocuzione e le scelte elettorali che ne potrebbero derivare; che il sistema di voto sui disegni di legge elettorale è, alla Camera, quello del voto segreto.
La forza con la quale il Segretario del PD è stato eletto non costituisce solo mandato, ma esigerà anche verifica di risultato. E Renzi si trova oggi ad operare in solitudine nella scena parlamentare (alla quale peraltro non appartiene) avendo, per scelta, e con determinazione, assunto su di sé, e sul Pd, la responsabilità di dare impulso e concretezza alle riforme. Il 27 gennaio è vicino. Una vera corsa contro il tempo.
È per questo che bisogna augurarsi che la Direzione de116, e gli incontri con i gruppi parlamentari sui temi della legge elettorale e delle riforme siano sedi vere di confronto, di ascolto, e di scelte ampiamente e politicamente ragionate e ampiamente e politicamente condivise.

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