Tutti nel Palazzo vogliono sapere cosa dice per capire cosa pensa. Esercizio molto difficile. Stavolta, per restare a quanto riferito da alcuni senatori del Pd, l`ex ministro si è soffermato soprattutto sulla riforma presentata da Meloni. L`altro giorno, mentre in Aula andava in scena l`ennesima baruffa a favore di telecamere, Franceschini ha accostato il progetto della premier a quello approvato dal centro sinistra nel 2001. «La dinamica è la stessa». All`inizio, la modifica del Titolo V era solo una bandiera da sventolare contro il federalismo della Lega. Ma alla fine «lo scontro con il centrodestra assunse tali dimensioni» da trasformare quella palla di neve in una valanga: «E non riuscimmo più a fermarla». È quanto starebbe accadendo adesso con il premierato: «Siccome la premier in politica estera e in politica economica non ha margini di manovra, per fare una cosa di destra ha lanciato la riforma costituzionale. Ma si è spinta troppo avanti e non vedo le condizioni perché si arrivi a un compromesso con l`opposizione». Raccontano abbia fatto anche una digressione sul processo di trasformazione della leader di FdI, sul suo «progressivo spostamento verso il centro» dettato da esigenze di governo: «Non credo riuscirà a portarlo a compimento, perché la classe dirigente del suo partito resta di destra». In ogni caso con il premierato «si sono incartati da soli». Incuranti delle urla provenienti dall`emiciclo, i senatori dem hanno saputo dei colloqui avuti da Franceschini con «esponenti di Forza Italia e Lega» ai quali «la riforma non piace. E visto che non riescono a far cambiare il testo, gli ho consigliato almeno di preparare uno statuto delle opposizioni: “Fatelo, perché in futuro vi servirà…”». Non si sa se gli esponenti della maggioranza abbiano toccato ferro. Ed è tutto da vedere se la profezia si realizzerà. I compagni del Pd certamente gli hanno dato credito. D`altronde Franceschini se l`è guadagnato negli anni. Pare gli abbiano affibbiato anche un soprannome, che lui conosce ma non cita mai «perché sennò mi re- sterebbe appiccicato addosso. Come successe ad Andreotti quando lo definirono “belzebù”». Lui si è definito «un pensionato». E tanto è bastato a suscitare l`ilarità composta dei presenti, che hanno continuato a seguire il suo ragionamento senza più affaticarsi a capire cosa celasse. D`altronde Franceschini stava descrivendo un radioso futuro per il campo largo: «Perché il premierato ci agevolerà nella costruzione della coalizione». E senza nemmeno dover ricorrere a nuove alchimie, visto che «costruire un centro con Renzi e Calenda ancora sulla scena sarebbe un tentativo temerario. Non saprei chi potrebbe riuscirci». E questo passaggio i senatori lo hanno colto, hanno intuito cioè a chi si stesse riferendo: a Rutelli, indicato come potenziale federatore dell`area dove un tempo sorgeva la Margherita. L`operazione pare non sia gradita da Schlein, che fino a quel momento Franceschini non aveva citato. Finché: «Ve lo avevo detto che Elly avrebbe fatto un gran risultato. Non immaginavo invece quello della sinistra. Quanto ai Cin- que Stelle mancano tre anni alle elezioni…». Un giudizio perfidamente democristiano, perché – mentre sugli altri scenari era stato dettagliato nel disegnare il futuro – sui grillini non si è esposto, lasciando i suoi interlocutori a coltivare il dubbio: Franceschini pensa che si riprenderanno o che affonderanno? Sul resto è stato esplicito. A partire dal percorso di Schlein. «Una donna che può attaccare un`avversaria politica» senza essere accusata di averla aggredita, «come succederebbe se al suo posto ci fosse un uomo». Una leader che potrà far valere le regole del Pd, in base alle quali il segretario è automaticamente anche candidato premier del partito: «E pur se sorgessero problemi con gli alleati, sarebbero alla fine problemi risolvibili». Finita la seduta, il gruppo si è sciolto. «Credetemi, sul premierato Meloni è incastrata», ha concluso Franceschini: «L`unica alternativa per lei sarebbe andare al voto anticipato per evitare il voto referendario. Ma sarebbe una mossa che evidenzierebbe una debolezza politica. E se lei farà la riforma a noi toccherà usarla».


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