STEFANO ESPOSITO, senatore Pd, da sempre nel mirino della protesta più radicale No Tav. Da anni vive sotto scorta. Ha tre figli piccoli e pochi mesi fa la moglie è andata a partorire a bordo di un’auto blindata. Non sdrammatizza, né riesce a dare una valutazione obiettiva alle nuove intimidazioni che, è innegabile, abbiano fatto registrare un salto di qualità. «Queste minacce per me sono un abbonamento mensile» esordisce con grande amarezza. Lo raggiungiamo telefonicamente in aula, durante la conversione del DI carceri. «Oggi scopro che ci sarebbe un sedicente tribunale rivoluzionario che mi avrebbe condannato a morte insieme ad altri quattro, cosa vuole che le dica…Onestamente non sono in grado di valutare l’attendibuità di quelle lettere, perché non è compito mio definirla. Il ministro Alfano mi ha telefonato assicurando massima attenzione e vigilanza».
È credibile il ritorno del terrorismo?
«Penso di no, o meglio, lo spero. Naturalmente che in giro ci sia qualche matto mi sembra un fatto conclamato. Che questo matto, poi, abbia a che fare con quello che una volta era il movimento No Tav è difficile stabilirlo. Speriamo si tratti solo di un matto innocuo».
Di una saldatura tra frange continue ai vecchi brigatisti e la protesta No Tav si è parlalo tanto in passato. Le minacce che ha ricevuto sembrano sintonizzate su tale lunghezza d’onda.
«Quello che ho sempre pensato è che ci siano dei gruppi anarchici, o di reduci legati al ricordo degli anni bui di questo Paese che hanno semplicemente impugnato la bandiera No Tav per fare gli affari loro».
 Che genere di affari?
«Non saprei dire, ma mi pare che ormai la questione del treno non c’entri più niente».
Eppure ai funerali di Prospero Gallinari, uno dei padri delle Brigate Rosse, sventolava un vessillo No Tav. Come lo spiega?
«In maniera molto semplice: è diventato un simbolo. Io sono pronto al confronto e mi occupo del merito, cioè della realizzazione dell’opera, del treno, della galleria, dell’attenzione per l’ambiente. Per altri, invece. No Tav è un simbolo para rivoluzionario».
Da tempo lei vive sotto scorta: avrà più paura ora, tornando a casa, di quanta ne avesse prima?
«Le rispondo con estrema sincerità. Io non ho paura, ma sono stufo, tremendamente stufo, perché questa vicenda mi priva della mia libertà. Questo sì».

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