Nei titoli dei giornali non è mai l’uomo che picchia, uccide, mortifica ma la donna che viene picchiata e uccisa. Un problema di educazione
DOMANI, 25 NOVEMBRE, È LA GIORNATA INTERNAZIONALE PER L`ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE. E un`occasione per unire tutti quelli che vogliono innovare e cambiare. La violenza di genere non è una questione femminile che può essere affrontata da una minoranza di donne, insieme a qualche uomo volenteroso. È un problema strutturale della società, che deriva da comportamenti degli uomini, e che insieme donne e uomini possono eliminare.
È stato fondamentale il lavoro che donne di ogni estrazione politica e culturale hanno fatto e continuano a fare nelle istituzioni e nell`associazionismo, contribuendo ad aumentare sensibilità e conoscenza, e attivando percorsi virtuosi per affrontare la drammatica e strutturale condizione che viviamo. Ma è ormai evidente che la violenza contro le donne è un problema degli uomini e che il primo passo per analizzare e risolvere il problema è spostare lo sguardo, cambiare paradigma. Questo non significa abbassare la guardia nel sostenere i percorsi di uscita dalla violenza che tante donne, coraggiosamente, intraprendono o diminuire il sostegno ai centri antiviolenza, che vanno anzi implementati e rafforzati.
Ma dire «questione femminile» significa scegliere un`etichetta che gli uomini sono abituati a scansare, mentre dobbiamo attivare il loro protagonismo. Perché troppo spesso succede che gli uomini, nelle discussioni sulla violenza di genere, sono un soggetto invisibile.
Non sentiamo quasi mai dire: Mario ha picchiato Claudia. Ma molto più spesso: Claudia è stata picchiata da Mario. E nei titoli probabilmente troveremo solo: Claudia: ennesima donna che è stata picchiata. E ci chiediamo perché sia stata attratta da un uomo violento, perché abbia soppor- tato precedenti maltrattamenti, perché non si sia ribellata. Parliamo solo di Claudia e trasformiamo una questione sociale e culturale in un fatto privato, psicologico. E Mario? Dove finisce Mario? Non è forse lui il protagonista dell`atto di violenza? Non ci chiediamo abbastanza perché Mario ha picchiato Claudia, perché Mario considera la violenza un modo legittimo di relazionarsi ad una donna. Perché sembra normale unire l`amore e la morte? Ti amo quindi ti uccido: è una mostruosità, ma perché la nostra società la tollera? Ecco che siamo chiamati in causa tutti.
Usiamo il linguaggio – le parole, la sintassi, la retorica – per stabilire gli ordini gerarchici del mondo, i punti di attenzione convenienti, gli orientamenti emotivi, lo usiamo per perpetuare abitudini e regole sociali da sempre governate dagli uomini e declinate al maschile. Il linguaggio diventa così fattore di conservazione, quando, invece, può essere uno strumento di profondo cambiamento: per rompere stereotipi, rapporti di potere consolidati, rappresentazioni discriminatorie. Per sostenere il cambio di paradigma.
Il linguaggio è un fattore di quel cambiamento culturale, profondo e lungo, che è necessario per eliminare la violenza di genere. Un cambiamento che, proprio perché necessariamente profondo e lungo, non può che avere nell`educazione e nella formazione il vettore più forte e credibile. Cambiare quello che socialmente è ritenuto accettabile e quello che non lo è. Quello che fa ridere e quello che offende. Quello che sentiamo distante e quello che ci riguarda. Quello che fa sentire una persona vincente e quello che fa perdere punti tra gli amici e al lavoro e in tutti i contesti sociali. Ecco perché la violenza di genere non è una questione di parte, ma della maggioranza. Non è una questione di sensibilità, ma è una questione di leadership. Non è una questione di coppia, ma politica e culturale. Affrontare e battere la violenza di genere è un processo lungo e una sfida politica seria e ambiziosa. Una sfida che vorrei tutti insieme scegliessimo come decisiva, a partire dalla comunità democratica e dalle priorità del congresso in corso, per lanciare un`alleanza con tutte le associazioni e le forze della società civile, della cultura, dell`educazione, dei media.
Perché un`Italia senza violenza di genere è un`Italia nuova, più libera, più uguale, più solidale e più competitiva. Ed è a fare questa Italia che serve il Partito Democratico.

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