“Chi si macchia di reati di stampo mafioso o terroristico non può percepire pensioni, indennità, contributi”. Lo scrive il senatore Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia, in un’interrogazione presentata ai ministri dell’Interno, Angelino Alfano, e del lavoro, Giuliano Poletti.
Nell’atto di sindacato ispettivo il senatore democratico chiede: “se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se intendano avvalersi dei propri poteri ispettivi per verificare presso tutti gli istituti di previdenza pubblici il numero delle prestazioni erogate ai boss di mafia; se il Governo ritenga opportuno adottare in tempi rapidi, sulla scorta dei disegni di legge depositati in Parlamento sull’argomento, i provvedimenti necessari per mettere fine a tale inaccettabile aberrazione, almeno sulle prestazioni previdenziali di tipo assistenziale”.

Di seguito testo interrogazione
Ai Ministri dell’interno e del lavoro e delle politiche sociali. –

Premesso che:


il 12 maggio 2015 durante la trasmissione televisiva “Ballarò” su RAI 3 è andato in onda un servizio del giornalista Claudio Pappaianni, nel quale veniva raccontato che il boss della ‘Ndrangheta Francesco Giampà percepisce una pensione sociale erogata dallo Stato italiano;


Francesco Giampà è detenuto da ben 22 anni nel carcere di Opera a Milano, in regime di 41-bis, per aver commesso gravi reati di stampo mafioso. Tra questi il duplice omicidio del sovrintendente della Polizia di Stato Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano, uccisi il 4 gennaio del 1992;


come qualsiasi altro cittadino italiano al raggiungimento dell’età pensionabile il capomafia di Lamezia Terme, direttamente dal penitenziario in cui è detenuto, ha inoltrato la domanda all’Inps. Diversamente dalla maggioranza dei cittadini italiani l’istituto di previdenza ha evaso la richiesta nel tempo record di 25 giorni. Esattamente dal mese di gennaio 2014 ad oggi Francesco Giampà percepisce un’indennità mensile di 460 euro;


si tratta dell’ennesimo caso di mafiosi condannati in via definitiva a cui vengono concesse prestazioni previdenziali o ancora peggio assistenziali. Un vero e proprio paradosso per uno Stato che vuole contrastare le organizzazioni criminali, che mortifica il lavoro della magistratura e delle forze dell’ordine e offende la memoria di chi è caduto nella lotta alle mafie;


già all’inizio del 2010 in Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, venne denunciata dall’interrogante tale stortura insopportabile. In quel periodo, infatti, il firmatario del presente atto di sindacato ispettivo venne a conoscenza che il boss Giovanni Trapani, capo mafia della famiglia di Ficarazzi (Palermo), percepiva addirittura un’indennità di disoccupazione di 700 euro. Un caso simile si ripresentò nel 2012 quando la stampa rivelò che il boss di “Cosa nostra”, Domenico Rancadore, percepiva una pensione da parte dell’Inpdap;


sempre nel 2010 l’interrogante presentò, quindi, un disegno di legge, ripresentato anche nella XVII Legislatura, per impedire, con un approccio rigorosissimo, che lo Stato riconosca qualsiasi tipo di prestazione previdenziale e di assistenza economica ai boss e ai loro familiari complici. Chi si macchia di reati di stampo mafioso o terroristico non può percepire pensioni, indennità, contributi;


naturalmente non sfugge la complessità nell’individuare soluzioni tecniche legittime per negare ad un condannato di mafia prestazioni previdenziali, ma in questo caso si tratta di una prestazione di carattere assistenziale che dovrebbe essere corrisposta a chi non ha alcun reddito e non ha maturato alcuna pensione di anzianità,


si chiede di sapere:


se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se intendano avvalersi dei propri poteri ispettivi per verificare presso tutti gli istituti di previdenza pubblici il numero delle prestazioni erogate ai boss di mafia;


se il Governo ritenga opportuno adottare in tempi rapidi, sulla scorta dei disegni di legge depositati in Parlamento sull’argomento, i provvedimenti necessari per mettere fine a tale inaccettabile aberrazione, almeno sulle prestazioni previdenziali di tipo assistenziale.


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