La fase che attraversiamo è venata da un apparente paradosso, così sintetizzabile: la fiducia di imprese e famiglie migliora, mentre il sistema economico mostra segni marcati di peggioramento. Il timore è che se il ristagno dell’economia, perdurando, possa trascinare molto presto anche le aspettative verso il basso. L’economia italiana sta dunque camminando sul filo del rasoio. Il governo dovrebbe averne piena consapevolezza e agire di conseguenza. A questo riguardo al governo e al presidente Renzi noi rivolgiamo alcune domande e proposte dalle colonne di questo giornale, che da domani cesserà le sue pubblicazioni. L’augurio è che sia solo una breve sospensione e che l’Unità possa al più presto riprendere a raccontare il Paese e i suoi problemi come ha utilmente fatto durante la sua lunga e nobile storia.
È un dato di fatto che da qualche mese le cose stanno andando decisamente male per la nostra economia. Rispetto a una previsione formulata dal governo ad aprile nel Def di un tasso di crescita intorno allo 0,8%, l’anno in corso si dovrebbe chiudere in realtà secondo le ultime stime con un sostanziale ristagno. Tutto ciò mentre sul fronte dei prezzi siamo ad un passo dalla deflazione. Tra le cause di andamenti così preoccupanti, figura certamente la brusca frenata che ha interessato l’intera area euro, inclusi Paesi come la Germania, in seguito alla persistente debolezza della domanda e alle politiche sbagliate che si continuano a perseguire in Europa. Ma il ristagno della nostra economia dipende anche e, soprattutto, da cause peculiari al nostro Paese, derivanti da mali antichi, che ci costringono da tempo nel ruolo di cenerentola dell’Europa in quanto a dinamiche di crescita e produttività. Se le cose stanno così – ed è difficile poterlo negare – c’è un’operazione verità che il governo deve innanzi tutto promuovere. C’è da spiegare, innanzi tutto, che i margini di finanza pubblica sono oggi non solo stretti, ma strettissimi. Per evitare quest’anno una manovra fiscale aggiuntiva a causa del deludente andamento del Pil, il nostro deficit pubblico crescerà con ogni probabilità fino alla famosa soglia limite del 3%. Ci siamo impegnati a non oltrepassarla per non incorrere in una procedura d’infrazione europea, ma anche per il timore di reazioni negative dei mercati finanziari internazionali. A questo riguardo va ricordato che lo stock del nostro debito ha continuato a crescere in questo periodo – quasi 100 miliardi dallo scorso dicembre – fino a oltrepassare il 135 per cento rispetto al Pil, ed è oggi secondo in Europa solo a quello della Grecia. Si dovrebbe poi parlare delle scelte ancora più difficili che ci attendono in vista della legge di stabilità da presentare a ottobre. Tra le voci di spesa più rilevanti da coprire vi è il bonus Irpef di 80 euro da rendere strutturale, i 5 miliardi circa di spese correnti indifferibili che coprono una molteplicità di voci, e ancora i 4,4 miliardi di impegni finanziari ereditati dal governo Letta da onorare perché non scattino clausole di salvaguardia di pari ammontare. Un ammontare di risorse destinato a aumentare dal momento che nel Def 2014 ci siamo impegnati con Bruxelles a migliorare il deficit strutturale (al netto degli effetti del ciclo e delle una tantum), con una manovra di finanza pubblica pari a 0,5 punti percentuali del Pil (circa 8 miliardi). A fronte di un impegno così gravoso, che oscilla tra 23 e 28 miliardi di euro, non si hanno notizie, più o meno ufficiali, ormai da tempo della cosiddetta spending review, la fonte principale di copertura. Essa prevede tagli di spesa davvero ambiziosi per 17 miliardi nel 2015 fino a 32 miliardi a decorrere dal 2016. Richiedono tempo per la loro organizzazione e elevati costi politici. Si sa che il commissario Cottarelli fornirà a un certo punto indicazioni, ma su cosa e quando non è dato ad oggi sapere.

Ne Parlano