Caro direttore, ci sono Paesi come il nostro dove si fanno le barricate contro l`idea di tradurre la qualità del lavoro in indici quantitativi, per poter misurare la prestazione e quindi valutarla. Ultimamente abbiamo visto erigere quelle barricate contro la pretesa dellinvalsi di valutare l`efficacia dell`insegnamento scolastico, ma le avevamo viste erigere anche contro la pretesa dell`Anvur di valutare l`attività di ricerca universitaria, o contro l`idea che una parte della retribuzione degli impiegati pubblici possa essere collegata a indici di produttività degli uffici o dei singoli. Da noi viene mobilitato persino il diritto alla privacy per impedire la valutazione della performance dei dipendenti pubblici, o quanto meno la conoscibilità del suo esito.
In altri Paesi, invece, soprattutto nel Nord Europa e nel Nord America, il principio della valutazione è non solo acquisito, sia nel settore pubblico sia in quello privato, ma praticato talvolta in modo eccessivo, acritico, quindi inutile o addirittura fuorviante. Per avvertirci di questo rischio tre studiosi – Dina Gray, Pietro Micheli e Andrey Pavlov, tutti e tre docenti in atenei inglesi, che a misurazione e valutazione hanno dedicato la vita – ora hanno ritenuto di dedicare un libro alla Measurement Madness: recognizing and avoiding the pitfalls of performance measurement (Wiley, 2015); cioè alle follie, o anche soltanto alle insidie, agli errori, e alle vere e proprie trappole in cui si può cadere quando ci si avventura su questo terreno senza il know-how e le avvertenze necessarie. Lo hanno fatto nel modo più amichevole verso la generalità dei possibili lettori, quindi con un linguaggio assolutamente semplice, scevro da tecnicismi, rifuggendo da ogni astrazione e proponendo invece decine di casi di uso della misurazione della performance avventato, sprovveduto, inerziale, opportunistico, furbesco, o inconsulto, comunque non utile per una valutazione attendibile, effettivamente verificatisi nell`ultimo decennio in amministrazioni pubbliche o in grandi imprese private di tutto il mondo. Oppure di casi nei quali il sistema di misurazione consente ai misurati di distorcere il risultato a proprio vantaggio, o li induce a distorcere la prestazione dalla sua vera funzione al solo fine di ottenere un indice di performance falsamente migliore. Dall`osservazione di questi casi si traggono diverse conclusioni per nulla scontate: la misurazione funziona poco se viene introdotta soltanto per controllare i comportamenti, mentre dà i risultati migliori se è mirata a trarne indicazioni utili per migliorare servizi, prodotti, o processi; se ai risultati della misurazione si collegano direttamente dei premi, i rischi di distorsione aumentano: meglio comunque attribuire i premi a gruppi di persone e non ai singoli; la valutazione individuale, invece, può costituire essa stessa, da sola, un premio efficace, dando risultati ottimi in termini di motivazione del personale. E dalle loro osservazioni gli autori traggono dieci regole auree per la buona impostazione della misurazione e della valutazione, che probabilmente diventeranno d`ora in poi un decalogo ineludibile per chiunque si occupi di questa materia.
Viene citato anche un «caso» ambientato in Italia. Ma questa volta soltanto per denunciare l`allergia alla valutazione della performance che ispira i vertici delle nostre amministrazioni pubbliche. E qui non è difficile vedere la mano di quello, dei tre autori, di origine italiana, che cinque anni fa venne richiamato in patria dall`Inghilterra per far parte della Civit, l`autorità per la valutazione delle amministrazioni pubbliche appunto – istituita dalla cosiddetta legge Brunetta del zoog, e che dopo un anno clamorosamente si dimise constatando che il meccanismo girava a vuoto.
Nonostante su questo terreno in Italia siamo tanto più indietro rispetto al Nord Europa, la lezione sofisticata di Gray, Micheli e Pavlov riguarda direttamente e immediatamente anche noi. Perché anche le nostre grandi imprese cadono negli stessi errori in cui cadono quelle straniere; e perché, sia pure in ritardo, finalmente anche noi stiamo incominciando a praticare la misurazione e la valutazione della performance nel settore pubblico. E proprio il ritardo con cui affrontiamo il problema ci rendè più inesperti, quindi più esposti al rischio di errori, di trappole, di pratiche controproducenti. L`unico vantaggio insito nell`essere, per questo aspetto, un Paese arretrato sta nella possibilità di sfruttare a costo zero l`esperienza accumulata da altri attraverso decenni di sperimentazione e affinamento delle tecniche di misurazione e valutazione. Ecco perché sarebbe molto importante che questo libro venisse letto attentamente – oltre che da molti amministratori delegati di imprese private soprattutto negli uffici del ministero della Funzione pubblica e in quelli di molti altri ministeri romani.