Reato di negazionismo e libertà d’espressione:
Le ragioni del Ddl 54

La libertà di espressione, protetta dall’articolo 21 della Costituzione e dall’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, è essenziale in una società democratica, così come lo sono la libertà dal razzismo e dalla discriminazione.

Come tutti i diritti fondamentali, si tratta di diritti complementari e interdipendenti, che non ammettono interpretazioni assolute, il loro contenuto si definisce cercando un equilibrio. Alcune limitazioni alla libertà d’espressione sono legittime se perseguono l’obiettivo di proteggere i diritti di altri, altrettanto fondamentali.

La protezione della libertà d’espressione, o di ricerca, non può essere invocata per fini contrari alla lettera e allo spirito della Costituzione e della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo, dato che tali fini contribuirebbero alla distruzione dei diritti e delle libertà garantiti. L’obiettivo dei negazionisti non è una critica, o la ricerca della verità storica, ma un conclamato obiettivo razzista, xenofobo e antisemita. Un obiettivo che mette in pericolo l’esistenza stessa di una società democratica.

Il discorso negazionista scuote le fondamenta etiche, giuridiche e politiche del patto sorto dopo la seconda guerra mondiale, rappresentato dal rifiuto incondizionato degli orrori nazisti. Lo scopo di una norma che sanzioni il negazionismo è soprattutto trasmettere un chiaro messaggio. Messaggio che non è limitato ad una presa di posizione contro il razzismo in generale, ma che rispetta il significato che riveste la Shoah nelle società dell’Europa continentale che maggiormente ne hanno raccolto la pesante eredità. Non è un caso che Francia e Germania siano stati fra i primi paesi a introdurre questo tipo di norma.

L’Unione Europea è intervenuta sulla repressione del fenomeno negazionista con la Decisione Quadro del 28 novembre 2008, relativa al contrasto a talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia attraverso il ricorso agli strumenti del diritto penale. Agli Stati membri è stato chiesto di punire l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra come definiti agli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale, nonché dei crimini definiti dall’articolo 6 dello Statuto del Tribunale Militare Internazionale, allegato all’Accordo di Londra dell’8 agosto 1945. In questi termini, la libertà d’espressione o di ricerca storica non è lesa. Il Ddl 54 recepisce il contenuto della Decisione Quadro che, ricordo, poneva come termine per l’attuazione il 28 novembre 2010.

Per quanto riguarda il Consiglio d’Europa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha chiarito che le limitazioni delle espressioni razziste e negazioniste di fatti storici chiaramente acclarati, non implicano una violazione del diritto alla libertà d’espressione (restano esclusi i fatti sui quali vi sia un dibattito storico ancora in corso).

Per la Corte Europea i discorsi negazionisti costituiscono un abuso di diritto, vietato dall’articolo 17 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), secondo il quale nessuno deve avvalersi delle disposizioni della Convenzione per porre in essere atti tendenti a distruggere tali diritti e libertà.

Nella sentenza Lehideux e Isorni c. Francia (1998) la Corte afferma come sia ‘indubbio che, al pari di ogni affermazione diretta contro i valori sottesi alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la giustificazione di una politica filo-nazista non può beneficiare della protezione dell’articolo 10 e che esiste una categoria di fatti storici chiaramente stabiliti, quali l’Olocausto, la cui negazione o rivisitazione non è tutelata dall’articolo 10 della Convenzione, in virtù dell’articolo 17 della stessa’.

Allo stesso modo, nella sentenza Garaudy c. Francia (2003) la Corte ha affermato che il ricorrente, un ex-politico autore del libro ‘I miti fondanti dell’Israele moderno’, non poteva invocare la libertà di espressione per evitare la sanzione. La Corte afferma: ‘contestare la veridicità di fatti storici accertati quali l’Olocausto, che non sono oggetto di dispute fra storici, non può in nessun modo essere ritenuto un lavoro di ricerca assimilabile alla ricerca della verità storica. L’obiettivo dei negazionisti è un conclamato obiettivo razzista, xenofobo e antisemita, ovvero riabilitare il regime nazionalsocialista e, per conseguenza, accusare di falsificazione della storia le stesse vittime. La contestazione di questo crimine contro l’umanità è una delle forme più sottili di diffamazione razziale e xenofoba e di incitazione all’odio’.

In riferimento all’articolo 6 del Protocollo Addizionale alla Convenzione sulla Criminalità Informatica, riguardo la criminalizzazione di atti di natura xenofoba e razzista messi in atto attraverso sistemi informatici (in vigore dal 2006), il Rapporto Esplicativo del Consiglio d’Europa afferma:

‘Le Corti nazionali si sono trovate ad affrontare casi di individui che (in pubblico, nei media, ecc.) hanno espresso idee o teorie che negano, minimizzano grossolanamente, fanno apologia o giustificano i gravi crimini avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Questi individui hanno spesso giustificato i propri atti con il pretesto della ricerca scientifica, mentre l’obiettivo reale è promuovere e diffondere le idee politiche che hanno portato all’Olocausto. Inoltre, questi atti hanno ispirato, o persino sollecitato e incoraggiato, le azioni di gruppi razzisti e xenofobi, incluse quelle a mezzo internet. L’espressione di queste idee oltraggia (la memoria) delle vittime e le loro famiglie, minacciando la dignità di tutta la comunità umana”.

Ricordo che la dignità della persona non è solo un diritto fondamentale, ma è la base stessa di ogni diritto fondamentale. Su questo concetto si basano gli argomenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, del Consiglio d’Europa e delle istituzioni dell’Unione Europea. Il negazionismo non può essere protetto dal diritto alla libertà d’espressione, perché libertà e dignità devono essere bilanciate.

La nostra Corte Costituzionale ha più volte affermato che la tendenza da preferire è ‘non consolidare forme di approccio alla libertà di parola che rispondano a parametri unici, salvo il ricorso di volta in volta a un bilanciamento (…) con i rispettivi contro interessi’.

L’idea di una libertà incondizionata e illimitata di manifestazione del proprio pensiero non ha fondamento. Una difesa astratta della libertà d’espressione, che prescinde dal contesto storico e dalla rilevanza politica ed etica del tema in questione non è, quindi, accettabile né giustificata. Chi la professa crede forse che nella nostra società siano venute meno le condizioni di pericolo e di allarme sociale che legittimano limitate ingerenze nella libertà d’espressione. La recente ripresa dei movimenti fascisti e neonazisti, come Alba Dorata in Grecia, così come gli orrendi atti razzisti e antisemiti che a Roma, e non solo, hanno preceduto la Giornata della Memoria, sono la prova di quanto sia infondata la convinzione che siano ormai superati i pericoli connessi alla diffusione dell’intolleranza xenofoba e razzista. Renzo Gattegna, su Repubblica di domenica scorsa, affermava: ‘un mostro ritorna e nel mirino non ha solo gli ebrei, è ora di alzare la guardia’.

Queste, in estrema sintesi, sono le ragioni per le quali, sia nella XVI legislatura che in questa, abbiamo sottoscritto in tantissimi il Ddl che oggi andiamo a discutere. Per queste ragioni chiedo che sia approvato, accettando comunque sul testo la mediazione più alta che i colleghi della Commissione Giustizia riusciranno a realizzare insieme agli altri Gruppi. In questo modo dimostreremmo che il Senato non si limita a celebrare a parole eventi drammatici, ma è in grado di produrre atti corrispondenti alla nostra funzione di legislatori.


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