Ha ceduto quando ha creduto di aver vinto. Chiunque detenga un pezzo di potere, in fondo, dà una lettura personale alle ragioni che del potere hanno causato la perdita. Così Andrea Marcucci dice di aver lasciato il posto da capogruppo al Senato a Simona Malpezzi solo nel momento in cui Enrico Letta ha garantito «autonomia al gruppo» e non perché “il Colle” – come con mirabile effetto retorico lo chiamano da Barga al Ponte del Diavolo – si sia arreso.
Marcucci, è nato tutto qui: domenica, in un’intervista al Tirreno, il segretario pd Enrico Letta chiede ai capigruppo di fare un passo indietro in nome della parità di genere. Cosa l’ha convinta dopo giorni di resistenza?

«La resistenza non serviva a conservare il mio posto, ma a non rompere le regole della democrazia che garantiscono l’autonomia del gruppo al Senato. I nomi circolati in quei giorni e gli scambi di posto non mi sembrava andassero in quella direzione».
Cosa intende? Il segretario ha invitato a cambiare ma ha lasciato libera scelta ai gruppi.
«Il segretario ha evidenziato un’esigenza, ma continuo a credere che il metodo sia stato sbagliato. La questione di genere non si risolve nominando capogruppo donne se poi il partito resta in mano agli uomini. Maschi sono i ministri al governo, il partito è in mano agli uomini. Serve un’analisi profonda degli errori commessi dal Pd nella scelta per le delegazioni, ad esempio, e nelle tante occasioni avute e perse per eleggere una segretaria donna. Ma una volta assicurata l’autonomia al gruppo, ho sciolto la riserva. Tant’è che Simona Malpezzi, proveniente dalla mia area, è stata appoggiata da 34 firme su 36».
Scusi, chiede un segretario donna? Ma se avete appena eletto Letta all’unanimità.
«Non mi permetterei mai di mettere in discussione la sua segreteria, l’ho votata. Ma ci sarà prima o poi un congresso e mi auguro che possano correre donne bravissime come Malpezzi, Fedeli, Rossomando e Pinotti. Certo non ho gradito sentire Enrico dire che se non fossero state elette due capogruppo lui avrebbe potuto rinunciare alla sua avventura. Inoltre, fra poco si vota in città importanti come Roma, Milano, Bologna. Voglio vedere se riusciamo a esprimere candidature femminili».
È amareggiato.
«Mi hanno amareggiato gli attacchi strumentali, sono stato descritto come contrario alla parità di genere. Ho proposto io come vicepresidente del Senato Rossomando e ho fatto la battaglia per avere come segretaria Bonafè in Toscana. Magari ora leggerò che si chiede la parità di genere per eleggere Fabiani».
Ha vissuto questa vicenda come una sorta di vendetta personale contro i renziani?
«No, non ho avuto questa sensazione. Ma ho detto a Letta che è stato sgradevole che gran parte del partito l’abbia utilizzata contro di me. La storia degli ex renziani è un’invenzione di chi immagina che il Pd possa tornare Pds, e non crede nei valori riformisti e liberal-democratici».
Si parla però spesso di lei come di una quinta colonna renziana nel Pd.
«A chi contesta la mia amicizia con Matteo spiego che le amicizie le scelgo io, e non ci rinuncio per interesse. Molti la utilizzano per attaccarci invece di riconoscere lo sforzo fatto per assicurare voce al riformismo restando nel Pd. Certo, qualcuno è rimasto male che non sia andato con Renzi. Ma resto nel Pd e, anzi, do loro una brutta notizia: ora sarò più libero di dedicarmi alle battaglie riformiste con maggiore impegno»
Renzi l’ha sentito?
«L’ho visto alla buvette. Mi ha salutato affettuosamente. Non lo sentivo da un po’, con lui ho avuto un forte diverbio per la fine dell’esperienza Conte. Ci siamo fatti due risate. Abbiamo scherzato».
Letta ha anche lanciato l’idea di un collegamento veloce fra Pisa e Firenze che metta fine alla disputa fra aeroporti. Come l’ha letta, addio all’ampliamento di Peretola?
«È un progetto che dovevamo fare già trent’anni fa. C’è la possibilità di farlo con il Recovery plan? Forse sì. Mi auguro che Letta lo porti a casa. Non so se volesse dire che è alternativo a Peretola. Se intendeva questo, non sono d’accordo. L’ampliamento va fatto».
Lo sosterrebbe come candidato per le suppletive del collegio di Siena?
«Ho sempre sostenuto che per le suppletive debbano decidere le federazioni territoriali, magari con il placet della segreteria regionale. Mi sarei immaginato anche lì una candidata donna. Ma se il territorio propone lui, lo sosterrò. Dipenderà anche da Enrico. Già in passato ci sono state imposizioni».
Beh, Padoan è stato paracadutato da Renzi.
«Sono critico anche su tante scelte del passato. Questa cosa di paracadutare candidati esterni è sbagliata. Se poi diventa la scelta del territorio allora va bene».
Draghi ha rimproverato le Regioni che hanno preferito le categorie con «forza contrattuale» agli anziani over 80 nella vaccinazione. A tutti, ma proprio tutti, è sembrata una bordata alla Toscana. Si sente di dare un consiglio a Giani?
«La priorità sono le vaccinazioni. Giani non ha bisogno di consigli. So che è concentrato a risolvere i problemi che effettivamente ci sono stati. In questa fase è più importante stare vicino ai presidenti e agli assessori e aiutarli. I processi si faranno dopo. Non ho mai attaccato neppure la Lombardia. Non è il momento delle critiche. E credo che Draghi alla fine la pensi come me».


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