Sempre più di frequente, nell’ambito della cronaca politica e giudiziaria, si assiste ad interventi anche fortemente polemici relativamente alla partecipazione dei magistrati alla vita politica attiva del Paese. La questione e i punti dolenti sono ben noti: da una parte, si pretende (giustamente) una netta separazione tra attività giudiziaria e attività politica; dall’altra, può succedere che cittadini magistrati decidano di avvalersi del proprio diritto costituzionale di cittadino ad accedere a cariche elettive, pur conservando alla fine della competizione elettorale o alla fine del mandato politico il posto di lavoro (articolo 51 della Costituzione).

Il disegno di legge interviene nei casi di magistrati che partecipano alle competizioni elettorali, nonché sul momento terminale del mandato elettivo, governativo o amministrativo che sono stati chiamati a ricoprire. E ciò a tutela dell’imparzialità della giurisdizione nonché dell’immagine stessa del magistrato e della magistratura nel suo complesso, evitando passaggi da un ruolo politico alla magistratura, poco comprensibili per il normale cittadino.

L’obiettivo è quello di assicurare un sistema che, ferma restando la possibilità per i magistrati di ricoprire quelle cariche, preservi l’esercizio della funzione giurisdizionale da possibili condizionamenti politici e garantisca l’integrità della competizione elettorale, che impone di prevedere maggiori limiti all’accesso alle cariche politiche per coloro ai quali è affidata la funzione giurisdizionale.

Nel merito, il testo disciplina in primo luogo le limitazioni alla candidabilità alle cariche elettive e all’assunzione di incarichi di governo negli enti territoriali per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nel senso di escludere che possano candidarsi alle elezioni ovvero assumere l’incarico di assessore in territori ricadenti nelle circoscrizioni elettorali dove hanno prestato servizio nei cinque anni precedenti.

Si stabilisce altresì il principio che il magistrato debba trovarsi in stato di aspettativa, all’atto della candidatura, da almeno sei mesi, in caso di scadenza naturale della legislatura, oppure debba chiedere di essere collocato in aspettativa entro dieci giorni dalla data dello scioglimento anticipato o dell’indizione delle elezioni suppletive, salvo i casi di dimissioni o collocamento a riposo.

C’è poi l’aspetto che riguarda il ricollocamento dei magistrati candidati e non eletti, dei magistrati cessati dal mandato parlamentare nazionale o europeo e dei magistrati cessati da una carica di governo: in via generale pur essendo ricollocati in ruolo, non possono svolgere alcuna funzione né essere assegnati ad uffici ricompresi nella propria circoscrizione elettorale per un periodo di cinque anni, dallo svolgimento delle elezioni, con il vincolo dell’esercizio delle funzioni collegiali per un periodo di cinque anni e con il divieto di ricoprire, per tale periodo, incarichi direttivi o semi-direttivi.


Invece, i magistrati che abbiano svolto servizio presso le rispettive Procure generali e presso la Procura nazionale antimafia sono ricollocati presso un organo collegiale per almeno cinque anni, con l’impossibilità di ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi per il medesimo periodo di cinque anni. I magistrati non eletti alle cariche rappresentative negli enti locali sono ricollocati in ruolo non potendo, tuttavia, esercitare le proprie funzioni per i successivi cinque anni nel distretto della Corte di Appello ricompreso nel territorio dell’ente interessato. Occorre, infine, sul punto, sottolineare che il ricollocamento in ruolo è vincolato all’esercizio delle funzioni collegiali per un periodo di cinque anni.