Così salveremo una delle fabbriche più importanti d’Europa
Nelle scorse ore il Presidente del Consiglio è tornato a ribadire che per il Governo l`impegno a vincere la sfida dell`Uva è assolutamente prioritario. Non è una rituale e rassicurante risposta alle sollecitazioni che continuano a scaricarsi sull`esecutivo circa il futuro dell`impianto siderurgico di Taranto, piuttosto la ferma consapevolezza di aver predisposto quanto era possibile per risolvere la più grave crisi industriale ed ambientale che si sia aperta in Europa coinvolgendo il destino di ben 20mila posti di lavoro, tra diretti ed indiretti, del principale impianto siderurgico dove si produce un terzo del fabbisogno nazionale di acciaio. Tutto ciò stride con le semplificazioni, spesso strumentali, che siamo tornati a leggere in questi ultimi giorni e che oscurano le sfide industriali ed ambientali in corso per ridurre l`intera questione ad un improbabile sconto tra poteri dello Stato.
A cominciare dalla semplificazione più banale ed insieme la più crudele: quella che invoca la chiusura dell`impianto, accompagnata dall`idea che finora si è privilegiato l`interesse della produzione a quello della tutela della salute e dell`ambiente.
 Pensiamo a quale sarebbe oggi lo scenario se Governo e Parlamento non fossero intervenuti: molte migliaia di lavoratori alle prese con gli ammortizzatori sociali e privi di qualsiasi futuro di rioccupazione e la prospettiva di risanamento ambientale del sito industriale resa impossibile dal venir meno di ogni legame con la continuità aziendale e produttiva. Per non parlarne di un`altra, pure circolata, che sostiene all`opposto un intervento dello Stato ancora più invasivo, fino alla acquisizione dell`azienda al patrimonio pubblico e alla conseguente gestione statale: una proposta suggestiva ma che ha il semplice difetto di dimenticare i vincoli che ci vengono dall`Unione europea che indica nella siderurgia uno dei settori industriali in cui sono vietati gli aiuti di Stato.
Si è scelto, invece, di affrontare insieme l`emergenza ambientale e sociale di un`intera città e di salvare e valorizzare un pezzo decisivo del nostro sistema manifatturiero. Sono stati compiuti sforzi enormi, direi unici, con una serie di misure contenute nei vari provvedimenti e, in particolare, nel decreto ‘Salva-Ilva’, il più significativo per la complessità degli interventi previsti e delle risorse attivate. Si è, inhanzitutto, garantita la continuità produttiva ed occupazionale (a cominciare dal pagamento degli stipendi) dell`intero gruppo Ilva grazie a una consistente iniezione di risorse finanziarie all`azienda (sblocco dei fondi Fintecna per 156 milioni di euro e 260 milioni di credito bancario).
 Si sono riavviati, poi, gli investimenti per l`ammodernamento e l`innovazione degli impianti, tra i quali il rifacimento degli altiforni, grazie a finanziamenti fino a 400 milioni di euro assistiti dalla garanzia dello Stato. C`è poi il tema del risanamento ambientale dello stabilimento che sarà possibile grazie alle risorse già sequestrate ai Riva dalla procura di Milano, pari a 1,2 miliardi di euro, accompagnate da una ‘garanzia pubblica’. Tutti questi interventi sono funzionali alla stessa prospettiva industriale futura, tramite la cessione o il fitto dell`Ilva ad una Newco, che potrà vedere la luce a valle dì un`altra misura promossa da Governo e Parlamento, la cosiddetta società di ‘turnaround’, la Società per azioni per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese italiane, che proprio per Ilva troverà la sua prima applicazione.
A me pare che questo complesso di misure diano decisamente l`idea di una caparbia volontà politica ed istituzionale di tenere insieme continuità produttiva e risanamento ambientale: non riconoscerlo, prima ancora che non onesto, è un errore madornale.

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