In questi giorni di riaperture graduali ispirate a un “rischio ragionato” anche le sale cinematografiche e i teatri tornano ad aprire le loro porte. Si tratta di una notizia molto bella per gli esercenti e per il pubblico che potrà, finalmente, riappropriarsi di una dimensione interiore importante.

La valenza formativa e riflessiva del teatro e, soprattutto, del cinema sono sottostimate. Penso, in particolare, ai film che ormai fanno parte a pieno titolo degli strumenti formativi, in quanto prodotto culturale significativo dal Novecento.

L’irrompere imprevedibile delle immagini stimola l’insorgere di emozioni e accresce l’attenzione degli spettatori che si trovano immersi nella “irreale realtà” filmica, quasi risucchiati dentro il set, come ci ricorda Woody Allen nel suo “La rosa purpurea del Cairo” dove la realtà dello schermo e quella della poltrona degli spettatori si confondono al punto da diventare un’unica realtà.

Soprattutto, nella fase del lockdown, il linguaggio dei film e delle serie TV, ha consentito viaggi della mente e stimoli di riflessione indispensabili in una fase di chiusura e solitudine. Dunque, potersi riappropriare di una dimensione collettiva delle visione è un passo davvero importante.

La riuscita di un prodotto filmico e la sua seduzione è tanto maggiore quanto più le emozioni che stanno provando gli spettatori sono quelle suscitate dal film e questa forza si accresce quando c’è una sorta di abbraccio collettivo e di condivisione di uno spazio fisico. Quando vi è un continuo scambio che si autoalimenta tra ciò che la scena filmica ci rimanda e ciò che noi proiettiamo su di essa.

L’occhio della macchina da presa sa guardare l’umanità al suo interno e restituircela “illuminandoci” non solo con le luci del film nella penombra, ma con gli squarci di verità su noi stessi, sulle nostre ferite dell’anima e sui possibili riscatti della nostra esistenza. Proiettando sullo schermo il “possibile”, ciò che “può essere”, anche non previsto da noi nelle situazioni della quotidianità grigia che ci appaiono senza futuro, il cinema ci offre una potenzialità “generativa di futuro”, allena l’occhio all’imprevedibile e all’imprevisto.

Mai come oggi questa chiave di lettura è utile ad accompagnarci nei grandi cambiamenti che stiamo vivendo e che, con intensità e modalità diverse, ci riguardano tutti ed hanno bisogno di essere accompagnati. Per una formazione che intenda “nutrire” le competenze emotive, attraverso trame o sequenze rivolte alla crescita esistenziale, il cinema rappresenta pertanto lo strumento ideale.

Il cinema, se usato intenzionalmente come strumento per potenziare la consapevolezza emotiva o trasformare la prospettiva dello sguardo sui vissuti esperienziali, può diventare occasione di cambiamento e crescita personale. Ancora di più oggi in questa fase di trasformazione epocale, fatta di paura, dolore e solitudine ma anche riscatto e ricostruzione.

La pietà, l’amore, lo sdegno, l’orrore, il dolore, le ambiguità e le oscurità del mondo interiore, vissuti attraverso la narrazione dei personaggi, ci mostrano la nostra storia e, al tempo stesso, danno indicazioni per il nostro percorso esistenziale. Proporre a bambini e adolescenti di vedere e commentare dei film, opportunamente selezionati in base alle finalità educative, è un’esperienza pedagogicamente significativa che può insegnare a leggere la realtà dei sentimenti umani e a sviluppare l’immaginario.

Apprendere gli alfabeti dell’intelligenza emotiva è indispensabile per uno sviluppo autentico dell’esistenza nella relazione con sé stessi e con gli altri. La mancanza di questa competenza affettiva ci rende molto più vulnerabili, ma anche più insensibili alle vulnerabilità degli altri, capaci di accorgerci quando stiamo ferendo qualcuno con le nostre parole o con i nostri comportamenti.

L’aumento della violenza negli adolescenti e nei bambini, attraverso le forme che le cronache quotidianamente ci riportano, l’analfabetismo sentimentale diffuso possono trovare nel cinema strumenti di apprendimento. La crisi vissuta dai ragazzi in seguito alle restrizioni sta assumendo forme di disagio molto profonde e anche la visione filmica può aiutare la riflessione su questi temi. Attraverso la scelta e l’uso delle sequenze si può insegnare innanzitutto ad identificare le alterazioni emotive e il loro manifestarsi negli sguardi, nel tono della voce, nella mimica facciale, nella postura corporea.

I dialoghi o le voci fuori campo possono inoltre insegnare a nominare (nel senso di dare nome) ciò che serpeggia nelle relazioni amicali o familiari che abitualmente non trova parola. La sceneggiatura, la regia, la fotografia e il montaggio dei film rappresentano in modo paradigmatico il nesso tra lo stato d’animo e la circostanza che lo origina.

I film diventano “ri-flessi che ri-flettono” aspetti di vita educativa anche per comprendere la correlazione circolare tra il sentire e l’agire: quando una situazione di lutto o perdita genera infelicità o disperazione; quando la frustrazione genera rabbia; quando una possibilità minacciosa genera paura; quando il rifiuto, il fallimento o il desiderio di accettazione inascoltato generano delusione, rancore, amarezza; quando l’empatia genera conforto; quando l’ira genera comportamenti di aggressività o isolamento; quando l’amore e l’amicizia generano appagamento e speranza.

La macchina da presa ci porta, soprattutto se guidata in modo intelligente, a formulare questo possibile repertorio di riferimento educativo che si può condividere attraverso la proiezione sul grande schermo, mostrando quanto possiamo “osservare” e “osservar-ci” nei comportamenti, nei gesti e nelle parole che rappresentano le conseguenze dei vissuti e delle relazioni. Oggi, più che mai, apriamo i nostri occhi e il nostro cuore.


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