Gentile Direttore, ho letto con comprensibile interesse l’articolo di domenica sul Suo giornale dedicato alla ricerca e alle sollecitazioni della Conferenza dei Rettori a riguardo. Mi pare, innanzitutto, positivo che si apra un dibattito su questo tema perché, purtroppo, non mi pare che ricerca e, in generale, istruzione, siano priorità del governo attuale. Sacrosante, perciò, sono le preoccupazioni che il mondo accademico e della ricerca esprimono sul futuro del settore.
E lo sono, in particolare, a fronte della netta inversione di tendenza operata dai governi di centro sinistra in tema di strategia di sviluppo e di finanziamenti e sui rischi che essa possa essere, oggi, messa in discussione. Una strategia di crescita, dopo tanti anni di abbandono e de-finanziamento, qualitativa e quantitativa concentrata su due emergenze: infrastrutture da un lato e capitale umano dall’altro. Se esaminiamo il finanziamento per ricercatore rispetto alla gara per i fondi europei, risulta che l’Italia si colloca a ben 7.200 euro, la Germania a 6.400, la Francia a 5.600. Dunque: ottimi ricercatori (come mostrano gli indici di produttività scientifica), ma scarsi finanziamenti ottenuti nel complesso. All’eccezionale produttività dei nostri ricercatori non corrispondono pari investimenti: è un fatto obiettivo e, purtroppo, ben noto. E questo è dovuto alla fragilità della base di comparazione: popolazione ancora troppo bassa dei ricercatori italiani e sostegno ancora troppo debole da parte dello Stato verso l’infrastruttura scientifica.
Per combattere queste due debolezze storiche si è intervenuti in varie riprese, ma ancora si deve insistere con determinazione. Parlo degli investimenti di competenza del MIUR, ma a questi, ad esempio, andrebbero aggiunte le risorse del MISE (si pensi ai “Competence Center” per “Impresa 4.0”). Per quanto riguarda il MIUR penso alla ricerca di base: nel 2017, per la prima volta, il PRIN ha raggiunto la quota di 391mln di euro (la somma precedente più alta fu di 170mln di euro). Ricordo poi i fondi per gli Enti Pubblici di Ricerca(EPR): il Fondo Ordinario ha ripreso, seppur timidamente a crescere; la politica spaziale, punta di assoluta eccellenza del nostro Paese nel mondo, ha visto un finanziamento incrementale di quasi 1mld di euro.
Ricordo poi che la Legge di Bilancio del 2017 e del 2018 ha stanziato per gli EPR un finanziamento pluriennale aggiuntivo che si aggira attorno ai 2 mld di euro. Sempre la legge di bilancio 2018, infine, ha istituito un Fondo per interventi volti a favorire lo sviluppo della competitività con una dotazione di 125 mln per il 2019 e 2020, di 250 mln per ciascuno degli anni dal 2021 al 2024. Potrei continuare parlando della ricerca industriale o degli investimenti nel capitale umano accompagnati da 3724 assunzioni tra Università ed Enti di ricerca e misure importanti di semplificazione sulle assunzioni stesse e sul turn-over.
Certo, tutto questo non basta. E, infatti, ho parlato di netta inversione di tendenza, ma, insisto è da qui che si deve partire per andare ancor più in profondità. E occorre farlo in una logica di intervento sistemico – che guardi all’insieme della ricerca pubblica e privata, che va anch’essa sostenuta in modo selettivo – e strutturale sia sul versante degli investimenti, che vanno programmati e resi costanti in un arco di tempo pluriennale, sia su quello altrettanto decisivo della promozione e valorizzazione delle donne e degli uomini che operano nella ricerca. Questa è la condizione assolutamente necessaria per costruire una economia e una società della conoscenza, per realizzare qualità del lavoro e benessere delle persone e, in generale, un’economia in grado di crescere e competere al livello di quelle più avanzate. Mi auguro che il nuovo governo, al di là delle promesse (poche, in verità – ed è un giudizio assai generoso) fatte sinora, voglia proseguire ad investire in ricerca, perché questa è la scelta cruciale per il futuro dell’Italia.


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